Si ha come l’impressione che Ron Howard esista da sempre. L’attore/regista con il volto da eterno Richie Cunningham, il personaggio reso immortale da Happy Days, compie 70 anni il 1° marzo ed è una star della TV e del cinema da praticamente sempre.
Una vita a Hollywood Ron Howard aveva solo due anni quando ha avuto il suo primo assaggio del mondo del cinema, e si è rivelato un appetito che non lo ha ancora lasciato sazio quasi 70 anni dopo. Apparso sullo sfondo del western del 1956: Pellirosse alla frontiera – di cui suo padre Rance faceva parte del cast – Howard sarebbe diventato un veterano a tutti gli effetti entro la fine del decennio, dopo aver collezionato 17 apparizioni in otto diversi show televisivi prima di diventare un series regular in tutte e otto le stagioni di The Andy Griffith Show dal 1960 al 1968.
È stato proprio con Andy Griffith che il suo interesse per il cinema ha preso piede. “Mi incuriosiva la macchina da presa, mi piaceva ascoltare gli sceneggiatori parlare di riscritture e cominciai a vedere che quasi tutti i nostri registi erano stati prima attori, tra cui la grande star della commedia Howard Morris, che era anche un eccellente regista”, racconta Howard in alcune interviste. “Quando avevo circa 10 anni, mi disse: ‘Ti vedo guardarti intorno, fare domande. Scommetto che finirai per fare il regista’”.
Questo tipo di percorso di carriera ha portato alla rovina molte star, ma per Howard è stato solo palestra per oliare i muscoli del suo desiderio di fare carriera dietro le quinte. Ha sfruttato la sua fama di attore per avere opportunità di regia – tra cui quella di lavorare con Roger Corman, un outsider tanto quanto Howard era un insider – iniziando con commedie grezze e poi saltando da un genere all’altro come se fosse la cosa più facile del mondo.
Howard ha sempre sognato di diventare prima di tutto un regista. Ha esordito alla regia poco più che trentenne con la commedia on the road Attenti a quella pazza Rolls Royce (1977), prodotta da Roger Corman, che è stato l’unico dei suoi film in cui ha recitato.
Da allora, ha diretto una sequenza impressionante di film amati dalla critica, sensazionali al botteghino e di qualche occasionale flop. Alcuni di questi gli hanno dato riconoscimenti importanti un paio di premi Oscar vinti e i milioni di dollari di biglietti venduti hanno assicurato che i successi superassero drasticamente gli insuccessi.
Come già detto, fin da adolescente Ron Howard sapeva di non voler fare l’attore per sempre. È stato un libro scritto da una leggenda del settore a dargli la spinta per provarci come regista: l’autobiografia di Frank Capra.
Finendo quel libro, non solo iniziò a studiare Capra, ma lanciò davvero il guanto di sfida dicendo a se stesso: “Non spero di essere un regista. Per Dio, sarò un regista”. Non sono molti i film di Howard che possono essere definiti “alla Capra”, ma l’impatto rimane innegabile specialmente grazie a un’opera come Mr. Smith va a Washington.
Il classico con Jimmy Stewart era muscolare, politico, spigoloso a differenza di molti suoi altri film che invece Howard sentiva a volte troppo luminosi e consolatori. La presenza di una certa “oscurità” in questo capolavoro di Capra, senza togliere nulla alla godibilità della visione, colpì e ispirò il giovane aspirante regista.
Il thriller politico è un campo in cui Howard si è raramente cimentato, ma cercare di raccontare storie più ampie radicandole in una realtà tangibile sarebbe comunque diventato un tratto distintivo della sua filmografia, che comprende una buona dose di storie strappate alla vita reale e portate sullo schermo.
Può essere difficile stabilire la cifra stilistica di Ron Howard, a parte la sua nota competenza e professionalità, ma forse il seme della speranza e la bontà d’animo che trasuda dalle storie sono tratti comune alle sue opere. Anche quando i suoi film sono cupi, esprimono l’idea fondamentale che alla fine tutto andrà bene. Questo funziona particolarmente in un’industria che resta innamorata del lieto fine, realistico o meno che sia.
Howard e Hollywood sono sempre stati una coppia perfetta… nel bene e nel male.
In attesa del suo ultimo film The Shrinking of Treehorn (basato sull’omonimo libro per bambini di Florence Parry Heide) che sarà un musical d’animazione e la cui uscita è prevista per fine di quest’anno su Netflix, i lungometraggi da lui diretti sono ben 27. Farne una classifica non è impresa facile, ma proviamo a segnare i nostri cinque preferiti:
Probabilmente il film più innovativo e visivamente sorprendente fino ad oggi, interpretato da alcuni dei migliori attori di Hollywood, tra cui Tom Hanks, Kevin Bacon, Bill Paxton e Gary Sinise. Racconta l’epica storia dei valorosi sforzi della NASA per riportare l’Apollo 13 sulla Terra sano e salvo, dopo che la navicella ha subito un grave danno interno che ha bloccato i tre astronauti a bordo in una situazione di vita o di morte. Howard si è imposto di essere il più tecnicamente accurato possibile, ricorrendo persino all’assistenza della NASA per l’addestramento degli astronauti e dei controllori di volo del cast.
Basato sulla vita del matematico americano e vincitore del Premio Nobel per l’Economia John Nash, il film ha come protagonista Russell Crowe nel ruolo del brillante accademico che sviluppa una schizofrenia paranoide e sperimenta episodi deliranti mentre è alle prese con la diagnosi. A Beautiful Mind ha ottenuto un ampio consenso da parte della critica e il regista si è guadagnato recensioni entusiastiche per la sua narrazione delicata e la rappresentazione onesta della malattia mentale e dei suoi effetti sull’individuo e sui suoi cari. Il film è stato premiato con l’Oscar per la miglior regia e il miglior film ed è una delle opere più conosciute e ammirate di Howard.
Basato sull’opera teatrale di Peter Morgan, il dramma storico Frost/Nixon racconta la storia delle famigerate interviste Frost/Nixon del 1977, nel post-Watergate tra il conduttore di talk show britannico David Frost e l’ex presidente Richard Nixon. Il film è interpretato da Michael Sheen e Frank Langella, impegnati in un’epica battaglia di ingegno per ottenere il controllo delle interviste. Nonostante la scarsa accoglienza al botteghino, Frost/Nixon è stato accolto con entusiasmo dalla critica e ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui le nomination agli Oscar per il miglior film e la miglior regia.
Ispirato alla storia del campione di pugilato dei pesi massimi James J. Braddock, il film ha come protagonista ancora Russell Crowe nei panni del famoso pugile e vede la partecipazione di Renée Zellweger e Paul Giamatti. Il film segue Braddock mentre torna sul ring dopo il ritiro, affrontando un giovane pugile in ascesa e dedicandosi alla boxe a tempo pieno nonostante le preoccupazioni della moglie per la sua sicurezza. Il film ha ricevuto tre nomination agli Oscar e ha fatto vincere a Giamatti lo Screen Actors Guild Award come miglior attore non protagonista.
Il film racconta la rivalità tra i piloti di Formula 1 James Hunt e Niki Lauda mentre si sfidano in pista durante la stagione agonistica del 1976. Chris Hemsworth interpreta lo sfacciato Hunt e Daniel Brühl il più razionale pilota austriaco: interpretazioni potenti che hanno dato nerbo all’adrenalinico biopic, mentre la regia elegante e ad alto tasso di tensione di Howard ha reso il film un’esaltante cavalcata da brivido per il pubblico.
La mini serie debuttava il 19 dicembre 1964, in prima serata su Rai Uno: Lina Wertmüller firma la regia delle 8 puntate in bianco e nero, dall’originale letterario di Vamba. Il progetto per il piccolo schermo vanta costumi di Piero Tosi, e musiche di Luis Bacalov e Nino Rota
Il capolavoro con Gene Wilder è uscito il 15 dicembre 1974: mezzo secolo di follia e divertimento targato Mel Brooks
Il 14 dicembre 1984 usciva nelle sale un film destinato, molto tempo dopo, a diventare cult
Il 10 dicembre 1954 esplode il mito popolare di Alberto Sordi, l’Albertone nazionale. È la sera della prima di Un americano a Roma