Attore intellettuale e coltissimo, interprete raffinato dalla voce inconfondibile e sempre controllata, maestro della scena teatrale dalle capacità anche manageriali (diresse per sette anni, dal 1972, il Festival dei due Mondi di Spoleto), ma sempre sottovalutato dal cinema. Romolo Valli, che il 7 febbraio 2025 avrebbe compiuto 100 anni, è ricordato dalla biografia di Daniela Montemagno edita da Edizioni Sabinae che, pubblicata nel 2020, torna di grande attualità per il centenario. Con un’ampia bibliografia, una sezione dedicata alle testimonianze (tra queste Lino Capolicchio che con lui girò Il giardino dei Finzi Contini), due lettere a lui indirizzate da Fellini, alcuni suoi testi, un corredo iconografico, il volume ripercorre in ordine cronologico l’intensa carriera di Valli, nato a Reggio Emilia in una famiglia borghese: la madre lo sosterrà sempre nella sua passione per il palcoscenico, il padre lo avrebbe voluto avvocato e gli impose la laurea in Legge. Lui ottemperò ai voleri paterni per poi subito partire in tournée. Fin da ragazzo, infatti, era appassionato di scrittura, giornalismo e naturalmente teatro.
Celebre per aver contribuito a fondare la Compagnia dei Giovani, nata nel 1954 da un gruppo di trentenni tra cui il compagno di vita Giorgio De Lullo, oltre a Rossella Falk, Elsa Albani e Anna Maria Guarnieri, esordì al cinema in Policarpo, ufficiale di scrittura, l’ultimo film diretto da Mario Soldati. Qui è un capodivisione intrigante e saccente che vive nel terrore di essere denunciato per le sue malefatte. Sullo schermo fu un caratterista di sicuro effetto, poliedrico ed efficace, misurato e guardingo, di volta in volta burocrate, prete (spesso), anarchico, padre di famiglia. Al cinema era molto legato: ai tempi dell’università aveva organizzato dibattiti e cineforum, era stato presidente del circolo reggiano del cinema, tra i suoi amici annoverò Tullio Kezich con cui intrattenne una fitta corrispondenza.
Il ruolo da protagonista lo sfiorò solo una volta con Federico Fellini. Per un episodio di Boccaccio ’70 (1972) doveva essere il sessuofobo dottor Antonio che venne poi affidato al più popolare Peppino De Filippo. Due anni dopo, sempre per Fellini, avrebbe dovuto essere Steiner, l’intellettuale suicida de La dolce vita, ma il ruolo se lo aggiudicò Alain Cuny e a lui restò il compito di doppiarlo. Vinse la Noce d’oro nel 1960 per La grande guerra di Mario Monicelli dov’era il tenente Gallina, umano e comprensivo con i suoi soldati che aiuta a scrivere lettere a casa e protegge da vessazioni inique. Una Grolla d’oro nel 1963 segnalerà la sua partecipazione all’epico capolavoro di Luchino Visconti Il Gattopardo, nel quale ha il ruolo di Padre Pirrone, un prete ipocrita e compunto dalla tonaca lisa e sporca, tanto da attirarsi il disprezzo della nipote di Tomasi di Lampedusa, la principessa Alessandra Wolff Stomersee. Per Visconti – con cui sognava di tradurre al cinema l’amata Recherche di Marcel Proust – sarà anche il viscido e bugiardo maitre dell’Hotel des Bains in Morte a Venezia (1971). Tornando al ’63 fu al centro di uno dei sei episodi del film diretto dai fratelli Taviani insieme a Valentino Orsini, I fuorilegge del matrimonio, ispirato al progetto del senatore socialista Luigi Renato Sansone sul “piccolo divorzio”. Al divorzio fu apertamente favorevole schierandosi per questo cambiamento necessario per la società italiana.
Il Nastro d’argento, oltre che per Una storia milanese di Eriprando Visconti, arrivò per due film fondamentali della sua filmografia. Nel 1971 per Il giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica e nel 1977 per Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli dal romanzo di Vincenzo Cerami. Nel primo è una figura paterna indimenticabile, il padre del protagonista Giorgio, che disapprova le frequentazioni aristocratiche del figlio; nel secondo è il dottor Spaziani, un capufficio massone che induce il protagonista Alberto Sordi ad affiliarsi alla loggia per ottenere favori per il figlio.
Bernardo Bertolucci lo volle in Novecento, il grande affresco sul fascismo e la liberazione nella Bassa attraverso la storia dell’amicizia tra due ragazzi di opposta estrazione sociale. Qui fu il figlio del proprietario terriero Alfredo Berlinghieri (Burt Lancaster). Così Romolo ritrovò la famiglia Bertolucci che conosceva fin da piccolo: il padre di Bernardo, il poeta Attilio, era stato uno dei suoi maestri e punto di riferimento della sua gioventù trascorsa in Emilia Romagna.
Un film politico era stato anche Giù la testa di Sergio Leone (1971), dove interpretava il medico Villega nel Messico rivoluzionario del 1913, catturato e torturato denuncia i compagni ma poi si riscatta e paga con la morte in un’azione terroristica. Un’interpretazione che lascia il segno.
Clair de femme di Costa Gavras dal romanzo di Romain Gary sarà il suo ultimo ruolo al cinema (è la storia dell’incontro tra un uomo e una donna, Yves Montand e Romy Schneider, e Valli è Gaba, addestratore di cani serbo. Costa Gavras lo definì “un grande attore che non ha mai avuto in Italia il posto che meritava, a parte che con Visconti e Leone”). Prima del silenzio di Patroni Griffi il suo ultimo testo a teatro. Di ritorno da una recita, in piena notte, ebbe l’incidente di macchina che gli tolse la vita. Era il 1° febbraio 1980. Stava per compiere cinquantacinque anni, ma ne dimostrava di più e non aveva mai esitato a invecchiarsi e imbruttirsi in scena, era perseguitato da un’ulcera, spesso stanco, non si era mai risparmiato per la grande passione che lo animava.
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Steno ha scelto Gabriele Ferzetti, ma il ruolo è stato interpretato anche da Donald Sutherland, Heath Ledger e Stefano Accorsi, fino al più recente Fabrizio Bentivoglio per Salvatores: il 2 aprile 1725 nasceva “un uomo libero, la cui unica legge è la sua volontà e il cui unico dovere è il piacere”
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Il 7 marzo 1975 usciva nelle sale italiane un film destinato a diventare un pilastro del cinema horror e un punto di riferimento per intere generazioni di registi e appassionati