Dura da molti anni, e da sette film, la complicità tra Rolf de Heer e Domenico Procacci. “Di lui posso dire che non è solo un produttore italiano: è Domenico Procacci, l’unico che ho fatto entrare da subito sul set e in sala di montaggio, perché è un artista, un vero filmaker, e il nostro rapporto, negli anni, è addirittura migliorato”.
Australiano, ma nato in Olanda, l’autore di Bad Boy Bubby è un cineasta globale (sceneggiatore, finanziatore e regista), uno sperimentatore spericolato e sorprendente. L’avevamo lasciato a Cannes con l’aborigeno Dieci canoe, lo ritroviamo alla Festa di Roma (Extra) con Dott.Plonk, una comica slapstick girata con una pellicola in bianco e nero scaduta e con una macchina a manovella appositamente modificata. Un divertente omaggio ai pionieri del muto conteso anche dalle Giornate di Pordenone che l’avrebbero voluto proiettare con la musica dal vivo in una serata molto speciale. Poi la scelta dei produttori, tra cui la Fandango che lo distribuirà nei prossimi mesi, è caduta sulla sezione curata da Mario Sesti. Ed ecco allora il simpatico dott. Plonk, scienziato e inventore che dall’Adelaide del 1907 si proietta nel 2007 grazie a una rudimentale macchina del tempo manovrata dal suo assistente sordomuto e imbranato. Completano il cast una moglie grassissima e uno scatenato Jack Russell Terrier di nome Tiberius.
Come le è saltato in mente di girare una comica?
Tutto è nato da ventimila piedi di pellicola vergine del ’96 che ho ritrovato in frigo. Invece di buttarla via ho deciso che si poteva utilizzare per girare un film d’altri tempi con una piccola troupe, luci improvvisate e location semplicissime. Ma non è stato così semplice. In questi cento anni la tecnica è cambiata radicalmente e molte cose sono addirittura sparite. Per esempio la pellicola ha un’emulsione più spessa che mal si adatta alla macchina a manovella, così abbiamo dovuto modificare una cinepresa moderna.
Che idea aveva del cinema muto?
Da bambino a scuola ci facevano vedere le comiche e ricordo che mi divertivo moltissimo. Negli ultimi dieci anni, girando per festival, ho visto parecchi film muti e mi sono tornate in mente varie cose che poi ho messo a punto in una settimana trascorsa ad assorbire la grammatica di questo tipo di cinema rivedendo Charlot, Harold Lloyd e gli tutti altri, ma senza pensare di copiarli.
“Dottor Plonk” è una commedia slapstick ma sfiora anche argomenti seri, come il potere della televisione di intorpidire la mente umana, un effetto che per un uomo dell’inizio del ‘900 è abbastanza paradossale.
Naturalmente sono generalizzazioni, ma credo che l’esperienza di guardare la tv sia qualcosa che paralizza il pensiero, mentre il buon cinema ci aiuta a pensare. L’effetto sociale della televisione è negativo, rende le persone avide, insoddisfatte e le addormenta. Crediamo che sia una finestra sul mondo, ma in realtà ci dà una visione molto limitata e distorta, come uno specchio in frantumi.
Pensa lo stesso di internet e della dipendenza che a volta ingenera?
Con internet abbiamo un ruolo più attivo. Ne siamo dipendenti ma in modo diverso.
Cosa le piace del cinema italiano?
Novecento è uno dei miei film preferiti in assoluto, l’ho visto otto volte, sempre sul grande schermo. Apprezzo Ladri di biciclette, L’ultimo bacio, La scorta. Non amo i film di Fellini, ma riconosco che sono una sfida.
Ha citato diversi film contemporanei: di solito gli stranieri si fermano a Rossellini e De Sica.
Qui all’Auditorium ho letto una frase che mi ha colpito: “tutta la musica è contemporanea”. Penso che valga anche per i film. Certo, è vero, siamo un po’ bloccati sui vecchi maestri, ma le cose cambiano e ci sono sempre film che vale la pena di vedere. Per me la domanda su cosa è il cinema è e resta la domanda fondamentale.
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