CANNES – Duecento animatori di 8 paesi del mondo, oltre 50 minuti di animazione creati tra Germania, Francia, Inghilterra, Polonia, Belgio, Lussemburgo e Israele in 4 anni di lavoro. Dopo il successo planetario di Valzer con Bashir, l’israeliano Ari Folman alza l’asticella e mira altissimo con The congress, ambiziosissima trasposizione cinematografica de Il congresso di futurologia di Stanislaw Lem, che ha aperto la Quinzaine des Réalisateurs.
Il regista torna in realtà a muoversi sul suo terreno, mescolando immagini live action e animazione ipertecnologica, ma attinge da un romanzo fantascientifico che immagina una dittatura mondiale guidata dai giganti dell’industria farmaceutica in cui ogni emozione è controllata dalla chimica e dove gli attori vengono scannerizzati per poi essere usati, in loro assenza, all’infinito. In The Congress questa sorte tocca a Robin Wright (nei panni di se stessa), ex radiosissima stella del cinema ora in disgrazia, a cui un produttore propone, appunto, la “scansione”. L’operazione la farebbe passare dalla vita ritirata, con il figlio malato, in una casa-hangar sulla pista di un aeroporto, al protagonismo virtuale di ogni tipo di film commerciale, compresi quelli, action-fantasy, che aveva sempre rifiutato.
Il cast è quello delle grandi occasioni. Accanto alla Wright recitano Harvey Keitel (il suo agente), Paul Giamatti (il medico del figlio) e Jon Hamm, e l’avventura visiva, esistenziale ed emozionale a cui Robin Wright si sottopone è un corposo omaggio all’animazione degli anni ’30, che ripesca personaggi come Braccio di Ferro, Betty Boop e il primo Superman. Oltre che a molti film “parenti” in zona sci-fi, con in più un pizzico di satira sull’industria cinematografica americana in cui, ad esempio mettere in mezzo nazisti e Olocausto “fa sempre vincere un premio”.
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La redazione va in vacanza per qualche giorno. Riprenderemo ad aggiornare a partire dal 2 gennaio. Auguriamo un felice 2018 a tutti i nostri lettori.
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