“Rinuncio volentieri alla Montée des Marches, non è questa la cosa importante. Io sono un caso solo perché scrivo, ma ci sono molti come me sotto scorta nel mio paese e il mio pensiero adesso va anche a loro”. Lo scrittore Roberto Saviano, che da due anni vive “protetto”, non percorrerà accanto al regista Matteo Garrone e all’attore Toni Servillo il tradizionale red carpet, ma sarà in sala per la proiezione ufficiale di Gomorra. Un milione e 200mila copie vendute e traduzione in 33 lingue, ma prima che il libro di Roberto Saviano “Gomorra”, sottotitolo “Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra”, ottenesse questo grande successo editoriale con la Mondadori, i suoi diritti cinematografici erano già stati comprati dalla Fandango di Domenico Procacci (“Il merito è di Laura Paolucci”). Ora tocca al film di Garrone confermare il successo anche in sala.
Il film in soli due giorni di programmazione ha incassato quasi un milione di euro. Sorpreso?
Sì. Come è accaduto all’inizio con il libro, non mi aspettavo questo successo. Ho scritto “Gomorra” pensando che i lettori hanno fame di queste storie, vogliono comprendere alcuni meccanismi. Soprattutto sono e siamo stanchi di immagini dei gruppi criminali folcloristiche e da fiction televisiva.
Quali difficoltà nel passaggio dalla pagina allo schermo?
La cosa più complicata è stata scegliere le storie per il film, perché il libro gronda di vicende. Con Garrone ho cercato di raccontare un territorio, di procedere per sintesi, anche per archetipi. Insomma il lavoro di togliere è stato difficile. Questo è stato l’aiuto che ho dato agli altri sceneggiatori, perché il film è il loro. In fondo mi sono comportato un po’ come un poliziotto che controlla che l’anima del libro venga rispettata.
A differenza del libro nel film non si fanno nomi e cognomi. Come mai?
L’impianto narrativo è diverso e non ci interessava la ‘notorietà’ di boss e clan. Abbiamo voluto evitare che la vanità dei criminali potesse essere titillata.
Così il film viaggerà più facilmente oltre confine.
Il territorio di cui parliamo è una feritoia attraverso la quale guardare il nostro tempo, non solo Napoli e la periferia. Le vicende narrate non cambierebbero infatti se si svolgessero a Mosca o a Abidjan, perché affrontano questioni che riguardano gran parte del mondo, a cominciare dallo strazio degli adolescenti, di questi giovani talenti.
Il film aiuterà il suo impegno civile?
Può amplificare il mio progetto che è quello di far conoscere come agiscono i gruppi criminali. Del resto il rischio non viene tanto da quello che scrivi, ma dal fatto che un libro o un film è letto e visto da tante persone. I gruppi criminali sanno che democrazia significa diritto di parola, quello che mettono in discussione è invece il diritto d’ascolto, il più diffuso possibile.
Lavori come il suo spesso vengono accusati di diffamare la propria terra?
Raccontare è un’operazione di verità, che mostra anche le resistenze che s’incontrano in questo paese. Non è un caso che numerosi Istituti di cultura italiana all’estero non mi abbiano invitato. Eppure ho incontrato immigrati orgogliosi che l’Italia venga narrata con tutte le sue contraddizioni. Del resto perché elogiare gli scrittori e i registi stranieri quando parlano senza censure delle condizioni sociali e politiche del loro paese? E poi la nostra intenzione con il film non è quella di denunciare ma di raccontare. Non ho mai pensato di parlare dell’Italia della camorra ma di parlare dell’Italia attraverso la camorra.
Nel finale del film scorrono le cifre di una holding chiamata mafie.
Non tutti i registi sarebbero disposti a chiudere un film in questo modo. Garrone invece non ha voluto rinunciare a questo pugno allo stomaco dello spettatore. Sono cifre che parlano da sole: un giro d’affari di 150 miliardi di euro l’anno quando la Fiat ne fattura 58; 10mila assassinati in 30 anni, molti più delle vittime del conflitto israelo-palestinese dalla prima Intifada e degli uccisi durante negli anni di piombo, che sono 600. E’ un impero criminale. Basti pensare che nel giorno dell’attentato e del crollo delle Torri Gemelle due personaggi, nel corso di una conversazione telefonica registrata nel Nolano, già parlavano di uno spazio appetibile che si era liberato nel centro di New York.
Da due anni vive sotto protezione.
I primi giorni hanno coinciso con il lavoro insieme a Garrone e agli altri sceneggiatori. Ma tante altre persone, che non fanno notizia, vivono sotto scorta, altre vengono uccise, in questi giorni, mentre è in corso il più importante processo di mafia degli ultimi 30 anni. Del resto ciò che per la stampa internazionale costituisce un evento bizzarro e eccezionale, da noi risulta invece purtroppo ordinario. Mi riferisco al fatto accaduto poco tempo fa nell’Aula di un tribunale dove è stato letto un memoriale di 60 pagine, scritto dai boss del clan dei casalesi Francesco Bidognetti e Antonio Jovine, in cui vengo accusato e minacciato insieme al magistrato Francesco Cantone e alla giornalista del ‘Mattino’ Rosaria Capacchione per il mio impegno contro la camorra.
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