ROBERTO CITRAN


“Per molti italiani che hanno fatto parte del cast del film, la strage dei soldati della Divisione Acqui è stata quasi una scoperta. A Cefalonia, grazie anche al contatto con gli abitanti, abbiamo toccato con mano la tragedia e mi sono sentito in colpa di saperne così poco”. L’attore Roberto Citran è più che convinto della rilevanza storica e delle ricadute sulla memoria collettiva de Il mandolino del Capitan Corelli di John Madden. C’era da aspettarselo perché il film tocca uno episodio del ’43 non risolto della storia italiana: nell’isola morirono, per mano tedesca, migliaia di soldati della Divisione Acqui. A guidarla era il generale Gandin. E per interpretarlo il regista John Madden ha voluto proprio Roberto Citran. E lui, già vincitore della Coppa Volpi al Festival di Venezia del ’94 per la sua interpretazione ne Il toro di Carlo Mazzacurati, si è dimostrato all’altezza di un ruolo che forse avrebbe meritato più spazio.

Carlo Lizzani tempo fa ha detto che realizzare un film su Cefalonia è il sogno di tutti i registi italiani. Ma, a parte il tentativo discutibile di Claver Salizzato con I giorni dell’amore e dell’odio, nessuno fino ad ora ci ha mai provato. Perché?
La risposta è legata allo sforzo produttivo necessario per realizzare una pellicola su Cefalonia. Sappiamo che in Italia non è facile mettere in piedi un’operazione così complessa dal punto di vista economico e organizzativo. Penso alle difficoltà che sta incontrando Enzo Monteleone nella realizzazione del suo film sulla battaglia di El Alamein, un progetto che lo impegna da anni con grande determinazione.

Come si è preparato al ruolo del generale Gandin? Ha incontrato qualcuno dei reduci di Cefalonia?
No. All’inizio ho preferito non incontrarli. Ho cercato invece di mettermi nei panni di Gandin e capire che cosa avrei fatto al suo posto. Del resto i documenti, al momento disponibili, sulla figura del generale non consentono di stabilire con esattezza come si sia mosso in quel frangente. Di certo era un uomo con grandi responsabilità, pieno di paura di sbagliare, consapevole di aver in mano il destino di migliaia di soldati. Mi sono concentrato su questi aspetti per mettere in scena tutta la complessità del personaggio.

Amos Pampaloni, capitano di artiglieria della Divisione Acqui sopravvissuto alla strage, ha dichiarato che il film è superficiale nella ricostruzione storica. E’ d’accordo?
Ho letto il commento di Pampaloni e credo che abbia le sue ragioni perché ha vissuto in prima persona una vicenda estremamente dura. Sarebbe come se tra vent’anni vedessi una pellicola sulla Padova degli anni ’70: di certo avrei qualcosa da ridire sulla messa in scena di fatti che fanno parte della mia esperienza personale. Ma Il mandolino del Capitan Corelli è un film su una storia d’amore non un documentario che è forse la forma più adeguata per la ricostruzione fedele di eventi storici. Pampaloni dovrebbe forse tener presente questa distinzione, anche quando fa riferimento alla rappresentazione stereotipata degli italiani da parte del regista Madden.

Crede che il film sia utile a tener viva la memoria storica del nostro paese?
Ricordo le polemiche seguite all’uscita del film La tregua di Francesco Rosi. Alcuni contestarono la leggerezza della pellicola che però ebbe il merito di stimolare un dibattito vivace. Lo stesso vale per Il mandolino del Capitan Corelli: se riuscirà a far discutere attorno a episodi storici quasi dimenticati, allora il risultato sarà comunque positivo. Ciò che è successo a Cefalonia è stato a lungo oscurato perfino nei libri di storia. Sembra che sia la destra che la sinistra italiane fossero interessate a nascondere quei fatti.

autore
05 Novembre 2001

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