VENEZIA – I baci mai dati sono quelli tra una madre e una figlia. Una madre nevrotica, che pensa solo al look, che si tinge i capelli di un improbabile biondo “reality” (nel senso dei format tv) e pensa che suo marito sia un fallito… Una figlia tredicenne, che lavora in un negozio di parrucchiera, va in giro in motorino, ha una sorella che imita Paris Hilton. Sogna solo un po’ di attenzione, ma ne trova fin troppa il giorno in cui s’inventa che la grande statua della Madonna appena inaugurata nel quartiere le è apparsa in sogno. Da quel momento una folla di postulanti bussa alla sua porta in cerca di un prodigio, non solo guarire da una malattia o avere un figlio, ma anche andare in tv o vincere al Lotto.
Roberta Torre torna ai suoi temi – il Sud raccontato fuori da ogni sociologia, le donne a forti tinte – ma con una sorprendente ricerca di trascendente. I baci mai dati, film d’apertura di Controcampo italiano, è prodotto da lei, con la Rosetta Film, insieme a Amedeo Bacigalupo e Adriana Chiesa, che si occuperà anche delle vendite all’estero. È girato nel quartiere di Librino, alla periferia Sud di Catania, una New Town avveniristica progettata dall’architetto Kenzo Tange e poi abbandonata a se stessa. Lì ha trovato molti degli attori, che affiancano un cast piuttosto azzeccato: la “sua” Donatella Finocchiaro, scoperta proprio con Angela nel 2002, Beppe Fiorello, Piera Degli Esposti, nel ruolo coloratissimo della parrucchiera-fattucchiera, Pino Micol, in quello del sacerdote, e la 13enne Carla Marchese, alla sua prima esperienza in assoluto.
È stato difficile trovare la giovane interprete per il ruolo di Manuela?
Abbastanza, perché a 13-14 anni oggi le ragazze sono già veline, mentre lei è un’adolescente tranquilla, normale, che vorrebbe avere un fidanzatino per andare al mare insieme. E’ il personaggio in cui mi sono identificata di più.
Il film, pur col suo linguaggio ironico, sopra le righe, mai didascalico, mostra rapporti disastrosi tra genitori e figli.
Sono rapporti senza più naturalezza, in cui i figli sono parcheggiati davanti alla tv, le figlie svendute. Il film vuole essere una favola, anche se una favola realista e cruda, con toni talvolta documentaristici.
Cosa pensa personalmente dei miracoli?
Penso che avvengano veramente, ma ci sono molti tipi di miracoli. C’è la guarigione di persone che erano date per spacciate e ci sono i miracoli emotivi, in cui una persona cambia profondamente prospettiva oppure due persone si incontrano per la prima volta. Per chi crede, è qualcosa di totalmente naturale. Per molti invece è una slot machine a cui chiedere qualsiasi cosa, come si vede nel film.
Ha parlato dell’argomento con qualche sacerdote?
Ne ho parlato col parroco di Altamura, don Alessandro Amapani. E mi ha ispirato anche Ermes Ronchi di Milano, un prete che lavora sui temi della bellezza e dell’amore come caratteristiche del divino. Devo a lui quest’idea dei baci come simbolo dell’amore cristiano. Una visione abbastanza anticonvenzionale, perché la passione viene quasi sempre tolta dalla dimensione religiosa tradizionale.
È vero che per il personaggio di Donatella Finocchiaro vi siete ispirate a Simona Ventura?
Donatella è una donna placida e serena, che doveva comportarsi da schizzata. Volevo anche farla uscire dal cliché della siciliana cupa e triste, e in effetti ci siamo accorte che fa morire dal ridere. Abbiamo trovato varie fonti d’ispirazione, tra cui anche Simona Ventura e Lory Del Santo.
Ha usato molto il super8, come nei suoi primi lavori, creando un universo parallelo di immagini e visioni.
Mi viene facile, è uno stile che ho appreso nella pittura. Le scene della Madonna sono tutte in super8: Fabio Zamarion ha fatto una fotografia molto elegante. Era la prima volta che lavoravo senza Daniele Ciprì ed è andata benissimo.
Come mai ha scelto proprio Librino, allontanandosi dalla Sicilia che conosce meglio, quella di Palermo?
Librino ha un aspetto un po’ metafisico. È un quartiere in parte pedonale, con piazze enormi, grattacieli vuoti, un silenzio pazzesco. In fase di progetto doveva essere una zona residenziale, quasi chic, poi si sono accorti che stava sulla rotta dell’aeroporto di Fontanarossa e l’hanno abbandonato così com’era, senza le fogne, con i palazzi sventrati. Dopo sono arrivati anche gli spacciatori, ma non è il classico quartiere degradato, è qualcosa di unico.
Nel personaggio di Piera Degli Esposti, che fa le carte alle clienti, c’è l’altro aspetto della religiosità popolare, quello della superstizione come ricerca di risposte e rassicurazione.
Certo, anche la predizione è una ricerca di indulgenze, ma è superstizione.
Adesso a Librino il miracolo c’è stato davvero. Non è vero?
Un albero si è messo a buttare acqua e la gente ha pensato che potesse servire a guarire le ferite, anche se i botanici hanno spiegato che è un fenomeno naturale. Forse il film li ha un po’ suggestionati.
Perché la sua produzione si chiama Rosetta Film, è un omaggio al film dei Dardenne?
Soprattutto è un omaggio a mio nonno Pierluigi Torre, che aveva la passione per le rose e riuscì a crearne una blu che dedicò a Marella Agnelli. Inventò anche la Lambretta per conto della Innocenti che, dopo la guerra, lo chiamò a Milano dalla Puglia per inventare un motorino come quelli che gli inglesi usavano durante gli sbarchi. Su di lui vorrei fare un film, ho già un titolo: Rose e matematica.
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