E’ il giugno 1970 quando su due quotidiani nazionali compare una notizia insolita e divertente: “Stupore a Pisa: tre ragazzi chiedono asilo politico all’Austria”. Questa storia surreale e un po’ grottesca è raccontata con felice ironia dall’esordiente Roan Johnson ne I primi della lista, evento speciale al Festival di Roma e dall’11 novembre in sala con Cinecittà Luce
Il fatto è che nell’acceso clima politico e sociale di quel tempo, segnato dalla strage di Piazza Fontana nel 1969, nell’ambiente studentesco corre voce che ci sia il rischio di un golpe militare, come accaduto qualche anno prima in Grecia con il putsch dei colonnelli. Così due candidi liceali pisani vengono convinti dal loro leader indiscusso, il cantautore Pino Masi all’epoca popolare autore della ‘Ballata del Pinelli’ e dell’inno di Lotta Continua, a organizzare una fuga, parecchio improvvisata verso il confine. Sono così convinti che l’incontro casuale in autostrada con una colonna di soldati è per loro l’ennesima conferma di quanto sta avvenendo, dimenticando che i militari sono in viaggio per la tradizionale parata del 2 giugno. La loro ingenuità li porterà prima al confine jugoslavo poi ripiegheranno verso l’Austria, con documenti non del tutto in regola per lasciare l’Italia. Solo tempo dopo si verrà a sapere che nel dicembre di quell’anno Valerio Borghese ha tentato un colpo di Stato con la complicità di apparati militari.
Roan Johnson – tra gli sceneggiatori della serie tv Raccontami – ha scelto per il suo debutto nella regia, realizzato con la “materna supervisione” di Francesco Bruni, questa vicenda piccola e deliziosa che miscela l’atmosfera di un’epoca mitica con i temi della fuga e dell’amicizia. Accanto a due attori esordienti, Francesco Turbanti e Paolo Cioni, Claudio Santamaria nei panni del cantautore Pino Masi che vediamo nella sequenza finale cantare un famoso brano di Fabrizio De Andrè. Il film, una produzione Palomar e Urania Pictures con Rai Cinema, ha avuto il contributo della DG Cinema-MiBAC.
Come nasce il film?
Quasi quattro anni fa mi sono imbattuto in un breve racconto di Renzo Lulli, ai tempi della storia 19enne e ora 60enne. Una storia che già in parte conoscevo perché a Pisa è una leggenda metropolitana che si racconta la sera quando si è abbastanza ubriachi.
All’inizio l’idea era di farne un documentario?
Sì, ero convinto che non ci avrebbero mai fatto fare un film, perché ritenuto un soggetto datato, una commedia on the road strana e non codificata, e poi mancava una donna tra i personaggi. Così ho progettato un documentario e l’ho proposto a diversi produttori. E il primo di questa lista Carlo Degli Esposti ha subito risposto: ‘facciamone un film perché è una storia troppo divertente’.
Che cosa l’ha affascinata di quella vicenda?
La trovo esemplare perché ha dentro di sé il DNA di quel tempo, in particolare del 1970 quando la creatività e il clima di avventura del ’68 si mescolano con la paura, la tensione e con quel che succederà dopo con la violenza. Nonostante sia una storia buffa, assurda e surreale tuttavia racconta molto quel tempo e quel cambiamento.
Come si è trovato a parlare di una periodo in cui lei non era ancora nato?
Gli anni ’70 li ho sempre un po’ studiati perché quando facevo parte del movimento studentesco nel 1990, il cosiddetto periodo della ‘Pantera’, il nostro riferimento a Pisa era la vecchia guardia degli studenti che avevano lottato nel ’68 e nel ’70. Infatti nel film ho provato a restituire quegli anni non in modo pedante, ma filtrandoli attraverso la mia esperienza personale, quasi come fossi io e i miei amici che a vent’anni andavamo a fare un viaggio o qualche cavolata. Così per i costumi abbiamo preso nei mercatini abbigliamento vintage, ma indossato in fondo da tre ragazzi d’oggi.
Che genere di commedia è “I primi della lista”?
Questo film non appartiene del tutto alla commedia pura all’italiana dove di solito il personaggio ha già un cinismo e qui invece i tre personaggi sono tutt’altro che smaliziati. Del resto l’ambiguità della storia ti fa pensare a volte che sono tre imbecilli o sprovveduti, altre volte che in fondo hanno ragione. Soprattutto se guardiamo agli eventi successivi, ai tentativi di golpe nel nostro Paese, ci si domanda se non avessero visto giusto.
E la canzone finale di Fabrizio De Andrè “Quello che non ho”?
In chiusura serviva una canzone che raccontasse non tanto quel momento, ormai passato, ma che cosa sarebbe successo ai tre personaggi, e più in generale a quella generazione, negli anni successivi. E la canzone di De Andrè del 1981 incarna perfettamente una sorta di sconfitta di quei giovani che sono rimasti esiliati o ai margini della società. Ti parla degli sconfitti ma ancora con dignità e orgoglio da difendere.
Ma dopo lo sconfinamento in Austria, la loro fuga nella vita reale è terminata?
E’ continuata anche dopo, una sorta di esilio prolungato: Renzo Lulli vive in Marocco, Fabio Gismondi ha fatto il giro di tutto il mondo pur di non tornare subito a Pisa dove lo avrebbero preso in giro. E Pino Masi sta ai margini della società normale, continua a scrivere canzoni di lotta, la sua carta di credito è un piattino. Non dimentichiamoci che lui ha anche lavorato con De Andrè e non a caso sui titoli di coda canta il brano “Quello che non ho”.
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