Rivoluzione doc, dalla sala al web


PESARO – “Tre sono le parole su cui dobbiamo riflettere: alfabetizzazione, coraggio e rivoluzione”. Così il regista Paolo Pisanelli alla tavola rotonda sul documentario italiano alla Mostra di Pesaro. Un’alfabetizzazione cinematografica “che dovrebbe iniziare già dalla scuola elementare” – come sottolineano anche il direttore del festival Giovanni Spagnoletti e Marco Bertozzi – un coraggio che spinga i produttori ad investire di più nel cinema del reale e una rivoluzione che ci porti ad una legge per lo sviluppo dell’arte audiovisiva e del documentario.

 

“Siamo trent’anni dietro la Francia – prosegue Pisanelli – lì hanno una legge che prevede fondi statali per il documentario, da noi invece le leggi non vengono assolutamente rispettate o ce le perdiamo per strada”. Ma forse non è colpa solo dello Stato e del suo immobilismo. Gianfranco Pannone lancia subito la provocazione: “non credete che forse noi documentaristi siamo corresponsabili di questa situazione? Quanto abbiamo saputo fare ‘sistema’ in questi anni?” Il coro dei documentaristi presenti all’incontro ammette alcune colpe della “categoria”, ma il problema rimane sempre lo stesso: la distribuzione. Maurizio Di Rienzo, co-curatore della retrospettiva “L’Italia allo specchio” dà il via alle riflessioni: “Nel nostro paese vengono realizzati 400/500 documentari l’anno, compresi i cortometraggi, ma purtroppo i media non sembrano attenti a questa realtà. I documentari hanno pochi sbocchi e una limitata possibilità di essere visti. La maggior parte di questi lavori gira decine di festival in Italia e all’estero ma solo in pochi riescono ad inserirsi nei palinsesti televisivi e ancora di meno nel circuito delle sale cinematografiche”.

 

Una soluzione a questa ridotta visibilità potrebbe essere il web, ma non tutti sono concordi. “A me interessa solo che il film venga visto, anche con qualche sgranatura o con una qualità d’immagine non eccellente”, afferma il regista Arturo Lavorato. Si muove sulla stessa lunghezza d’onda Monica Repetto, rappresentante di On the Docks: “La distribuzione rimane lo scoglio maggiore. Noi abbiamo proposto una piattaforma di video on demand a pagamento visibile non solo in Italia ma in tutto il mondo. Il problema risiede nel pubblico e nel mercato, che non sono ancora pronti per questo tipo di fruizione e di distribuzione. Noi però ci crediamo fermamente. In America, in Canada questo sistema funziona, e può funzionare anche da noi, basta avere pazienza”. “Non so bene come utilizzare la rete però essa, grazie ai blog e ai forum, rappresenta quell’agorà che oggi non c’è più”, aggiunge Andrea Stucovitz. “Dunque, se esiste sul web un modo per confrontarsi sui film, dobbiamo iniziare a servirci della rete anche come nuovo spazio di visione”. I timori sull’argomento però rimangono, perché, come sottolinea lo stesso Stucovitz, “la rete non rende economicamente nulla in quanto in Italia non c’è una legge sulla pirateria”. E arrivano così anche opinioni negative sullo sfruttamento del web. Mario Balsamo pone il problema dell’assurda convinzione che “quello che sta sul web debba essere sempre gratis, in questo modo un progetto produttivo non potrà mai svilupparsi adeguatamente. In più prosegue – il web richiede anche durate diverse, quattro minuti spesso risultano già troppi”. Dello stesso parere Felice D’Agostino che sostiene che “il web va bene, ma bisogna creare documentari apposta per quel tipo di fruizione perché si tratta di un supporto diverso dalla sala e dalla televisione”. Televisione che Alessandro Borrelli ritiene priva di spazi per il documentario: “io preferisco lavorare sulla sala perché è l’unico sbocco che c’è, secondo me. In tv gli spazi non ci sono. Mi impegno a trovare sempre una distribuzione nelle sale. Questo è un momento di transizione importante e tutti gli esercenti lamentano una distribuzione che in questi mesi non ha proposto praticamente nulla nei cinema, che sono rimasti deserti”. A credere nella distribuzione nelle sale anche Christian Carmosino: “dobbiamo dimostrare agli esercenti che esiste un pubblico anche per il documentario, va sconfitto il pregiudizio contro il documentario e soprattutto dobbiamo fare in modo che le sale smettano di programmare un solo film per un mese e comincino a diventare piccoli palinsesti. Il web è una grande risorsa ma penso che il film debba essere fruito sul grande schermo”. Di problematiche, dunque, ne sono state poste molte, ma le proposte stentano ad arrivare: “non è ancora tempo per le proposte nette – dice Mariangela Barbanente, regista e rappresentante di Doc/It – stiamo scalando una montagna di sabbia, ma dobbiamo sfruttare il momento: i periodi di transizione sono importanti per infilarsi nelle ruote dei meccanismi. Riempiamoli noi questi cinema”.

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29 Giugno 2012

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