Ricordo di Franco e Tonino Delli Colli, al cinema Trevi

Si è tenuta alla sala Trevi di Roma una serata di ricordi e risate, ricordando Tonino e Franco Delli Colli, pionieri della fotografia


Si è tenuta alla sala Trevi di Roma una serata di ricordi e risate, ricordando Tonino e Franco Delli Colli, pionieri della fotografia. Una parrucca andata in fumo sotto i riflettori troppo forti di Totò a colori, le pacche sulle spalle e l’entusiasmo di due autentici romani, veri “padroni” dei set anni ’50 che così tenevano a battesimo tanti illustri debuttanti o giovanissimi di ieri diventati, poi, grandi autori. E, ancora, la vera storia del ponte più esplosivo del cinema, quello saltato prima del ciak che fece dire a Sergio Leone, nella polvere rossa delle campagne vicine a Burgos, quel suo leggendario, romanissimo e sornione “Vabbè, mo’ famo pausa”….Questi e molti altri i racconti di set rimbalzati di generazione in generazione, di squadra in squadra, ritrovati nell’incontro promosso da SNCCI e AIC, con la collaborazione della Cineteca Nazionale. 

Alla Sala Trevi di Roma che ha ricordato i due “cinematographers” da anni scomparsi con una serata introdotta e conclusa da Diceria dell’untore, da Gesualdo Bufalino, regia di Beppe Cino per Franco e Il Buono, il Brutto, il Cattivo di Sergio Leone, per Tonino. Negli interventi di Claver Salizzato, critico e saggista, e, per l’Aic, di Roberto Girometti e Sergio Salvati, dopo l’introduzione di Alberto Anile in rappresentanza del gruppo romano del Sncci, storie e aneddoti dietro le quinte di oltre centocinquanta set, dai film più famosi, a quelli “storici” degli inizi insieme, ai popolarissimi “B movies” anni ’70 di Franco, al cinema più internazionale di Tonino, che ha concluso la sua carriera, dopo un capolavoro come C’era una volta in America di Sergio Leone e, prima ancora, i film di Polanski, Malle, Annaud, con il film Oscar® di Roberto Benigni La vita è bella.

“Franco e Tonino Delli Colli, oggi definiti “maestri”della luce del cinema italiano, ma in realtà vissuti come autentici artigiani anche quando la loro luce è stata definita un contributo d’autore, erano cugini, talmente simili, soprattutto da giovani, che il cinema li ha però spesso considerati fratelli – ha ricordato Laura Delli Colli, figlia di Franco e nipote di Tonino. Come temperamento però i due erano molto diversi: pacato, molto attento ai giovani autori (con lui Avati aveva esordito, per esempio, nel 1967 con Balsamus, l’uomo di Satana) e legatissimo alle maestranze, sul set, Franco (“E’ il primo dei due che ho conosciuto proprio con Pasolini”, ha raccontato Girometti “e la cosa che ricordo di lui era che mi disse subito: per fare il cinema bisogna restare sempre giovani dentro…”). Tonino, invece, era, come si dice a Roma decisamente più “fumantino”: “da gran fumatore com’era – ha raccontato Girometti – proprio non gli andò giù il “no smoke” americano quando ritirò, pochi anni prima di andarsene, un premio alla carriera che Hollywood, con suo grande disappunto, affidò ad Alan Alda, un attore che sul palcoscenico era alto quasi il doppio di lui… Riuniti  nella loro storia professionale, come operatore alla macchina Franco, e “direttore” della fotografia (allora si diceva così nei credits) Tonino, in film come Accattone e Mamma Roma di Pasolini, o nel primo film a colori italiano (Totò a colori) ma anche in Poveri ma belli di Dino Risi e molti altri film degli anni ’50, fino ai ’60, i due cugini hanno attraversato diversamente e a modo loro – così ha ricordato Salizzato – “le sorti alte, basse e progressive del cinema nazionale d’antan, il più bello ed avvincente. Ragazzi di bottega, operatori, direttori, autori, Maestri, per aspera ad astra, Franco e Tonino, caratteri diversi ma pari artisti del Rinascimento cinematografico, hanno lasciato il segno della loro luce sul nostro massimo comun denominatore immaginario e immaginifico”. E se Laura Delli Colli sottolinea come sia stato inevitabile che si dividessero negli anni (“per diverse storie di vita familiare, Tonino è stato dei due il più forte nelle scelte d’autore, anche se  oggi  Franco è perfino più popolare con chi, come Quentin Tarantino, conosce bene la filmografia poliziottesca e di genere dei suoi anni ’70”, Stefano Delli Colli, figlio di Tonino, anche lui giornalista (ma di economia, mai legato al mondo del cinema) ricorda la splendida Cardinale, sul mitico calesse in corsa nel deserto americano, per C’era una volta il West e racconta, oggi, anche le difficoltà di un set naturalmente cupo come Il nome della rosa con Sean Connery che girò alcune scene solo grazie ad una piccola lampada tascabile nascosta in una manica della tonaca. “I periodi fondamentali nella fotografia di mio padre, Tonino, sono sostanzialmente tre, legati ad altrettanti autori: Pasolini, Leone e Fellini. E posso dire che i primi due sono quelli che sentiva più vicini a sé. Fellini aveva avuto altri direttori della fotografia, Pasolini invece è nato come regista con lui. “Sì, credo che proprio papà lo abbia aiutato a trovare la propria chiave espressiva attraverso l’immagine, e così sono nati così film come Accattone e Mamma Roma, realizzati con lo zio Franco come operatore”. Con Leone per i Delli Colli, e in particolare per Tonino, c’è stata un’altra crescita importante. “E forse per questo per mio padre – ha concluso Stefano -una delle più forti delusioni è stata proprio la mancata candidatura all’Oscar® di quel film”. 

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28 Novembre 2013

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