TORINO. Si è trasferita dall’Auditorium del Lingotto alla Mole Antonelliana, luogo per eccellenza del cinema, la serata inaugurale del 35° Torino Film Festival (169 film distribuiti su 8 schermi), una prima volta che forse necessita di qualche aggiustamento, assente la sindaca Appendino. Si comincia dal collegamento con il programma di Radio 3 ‘Hollywood Party’ e la sola voce della direttrice Emanuela Martini, non visibile.
Poi a dare il ritmo della serata sono le note di ‘Relax’ del gruppo Frankie Goes to Hollywood. E dalla balconata della rampa elicoidale parla alla platea degli invitati la presidente del Museo del Cinema Laura Milani che avverte “il cambiamento non si può fermare, dobbiamo essere pronti a nuovi punti di vista”. Un richiamo evidente ai progetti di rinnovamento e di rilancio del Festival, attesi prossimamente, insieme alla nomina del nuovo direttore, scaduto il mandato della Martini.
Assente una madrina, il festival si affida a quattro padrini e alle loro brevi conversazioni creative sul rapporto con il cinema: il designer Chris Bangle, lo chef stellato Ugo Alciati, il musicista e produttore Max Casacci – “Mio padre a Cinecittà ha scoperto la passione per il cinema” -, lo scrittore Luca Bianchini che anticipa l’inizio lunedì prossimo, in alcune scuole di Torino, delle riprese del film di Volfango De Biasi tratto dal suo libro ‘Nessuno come noi’, tra gli interpreti Alessandro Preziosi.
Poi sulla balconata sono apparsi i giurati, dal regista Pablo Larrain all’attrice Isabella Ragonese. E in chiusura il regista inglese Richard Loncraine e gli attori Celia Imre e Timothy Spall, tutti e tre protagonisti del film di apertura Ricomincio da noi, in uscita l’ 8 marzo distribuito da Cinema di Valerio De Paolis.
E’ una commedia brillante, allo stesso tempo divertente e commovente, su un gruppo di anziani, over 60/65 anni, vitali e mai lamentosi, ognuno alle prese con la propria storia e passato nell’ultima stagione dell’esistenza. Soprattutto Sandra, Imelda Staunton, se la deve vedere con il tradimento del marito, dopo un matrimonio durato 35 anni, al quale ha sacrificato parte di sé. Per fortuna una nuova e inattesa chance arriva, complice una salutare scuola di ballo.
Del film Ricomincio da me ne parliamo con il regista Richard Loncraine, Orso d’Argento a Berlino 1996 per Riccardo III.
Loncraine, sono tanti i film con al centro le vicende di persone mature, anziane, da Ella&John di Virzì, a Quartet di Hoffman, a Mai così vicini di Reiner. Perché si è cimentato con la terza età?
Ho 71 anni e mi considero un regista fortunato perché lavoro ancora a questa età. Non è così purtroppo per i miei coetanei, a meno che non siano degli ultramiliardari come Ridley Scott. Certo i protagonisti dei miei film non possono essere degli adolescenti, anche perché di quella stagione ho ricordi imprecisi. Il tema del mio film è come impiegare il tempo che rimane della nostra vita, quando sai che non sarà lungo. Quali opportunità, offerte dal capitolo finale della nostra esistenza, possiamo cogliere. Le tematiche sulla vecchiaia non è detto che siano deprimenti, ma possono diffondere ottimismo e fare bene al cuore.
Nel film la danza è un elemento scenico e narrativo dominante.
Considero la danza un’occupazione umana tra le più interessanti, è una bellissima forma di aggregazione. Sono cresciuto nell’epoca del rock and roll, quando si danzava in coppia, mentre oggi nelle discoteche il ballo è diventato un evento individuale, perdendo quella carica di sensualità. Vorrei che tornasse ad essere quella che era all’origine.
Nel film entra di prepotenza anche la malattia.
Non sono molte le cose belle che porta con sé la vecchiaia. Un detto inglese dice all’incirca così: invecchiare non è una cosa per cuori teneri, ci vuole forza. E’ brutto ammalarsi e per me, che sono ipocondriaco, la malattia è sempre in agguato e al minimo disturbo subito mi allarmo. Comunque la mia vita ormai passa attraverso i figli ed è così che riesco a guardare al futuro.
Ha voluto un cast di attori importanti.
Il casting è la fase più importante dopo la sceneggiatura che è la base della piramide che rappresenta simbolicamente il film. Il livello successivo è quello della scelta degli interpreti. Purtroppo per l’industria cinematografica americana alla base della piramide c‘è la promozione, i cui costi sono altissimi. Io cerco sul set di mettere a proprio agio gli attori, così che siano disponibili a correre dei pericoli, soprattutto i grandi interpreti i quali preferiscono non correre rischi e ripetono per lo più quel modello di recitazione che ha dato vita alla star. Certo nella scelta degli interpreti pesa anche il loro valore commerciale.
I protagonisti di Ricomincio da me si sono rivelati dei provetti ballerini.
Imelda Staunton ha recitato in diversi musical; Celia Imrie è stata un tempo ballerina professionista; Timothy Spall benché inesperto si è impossessato della danza per trasmettere la sua sensibilità, il suo fascino. Il resto del cast è formato da ballerini professionisti in pensione, che non hanno avuto molto tempo per provare, ma che alla fine, grazie allo spirito di squadra, hanno funzionato anche se non alla perfezione. Basti pensare che quel ballo a Piccadilly Circus è avvenuto davanti a un pubblico vero di passanti e ha richiesto solo tre ciak.
Non le sembra nel film di aver reso la trasferta a Roma un po’ stereotipata e di maniera?
Nella narrazione questa città ha un ruolo di contrappunto alla condizione di dolore che i personaggi stanno vivendo. Non ci trovo nulla di sbagliato nell’utilizzare dei cliché, per esempio uno dei luoghi più suggestivi della Capitale, la Fontana di Trevi. Certo mostra una Roma prevedibile ma l’immagine è giustificata perché compensa quell’atmosfera triste su cui il film stava virando.
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"La direzione del festival la considero un’esperienza molto positiva che sarei felice di continuare. Ma la decisione a questo punto spetta al Museo Nazionale del Cinema”, sottolinea Emanuela Martini nella conferenza di chiusura del festival che corrisponde alla scadenza del suo attuale mandato da direttore