Riccardo Tozzi


Cattleya, come l’orchidea che compare nel film L’assedio di Bernardo Bertolucci. È il nome della giovane casa di produzione indipendente che si è affermata nel panorama italiano con film, fiction televisive e programmi per internet. A fondarla è stato, nel 1997, Riccardo Tozzi allora capo delle produzioni di Mediaset. Nel ’98, nonostante potesse dedicare pochissimo tempo alla sua nuova creatura, riuscì a produrre Un tè con Mussolini firmato da Franco Zeffirelli e distribuito in Italia da Medusa, negli Usa dalla MGM e nel resto del mondo dalla Universal. Da allora Cattleya è cresciuta e ha in cantiere numerosi film tra cui Ripley’s Game di Liliana Cavani e Callas Forever ancora di Zeffirelli. Per carpire il segreto del suo successo abbiamo incontrato proprio Riccardo Tozzi.

Parliamo del futuro. Dopo “How Harry become a tree”, a Venezia in concorso, Cattleya produrrà anche il nuovo film del regista serbo Goran Paskaljevic. A che punto è il progetto e di che si tratta?
Il film sarà tratto dal romanzo Ti prendo e ti porto via di Niccolò Ammaniti. Goran è impegnato a stendere la sceneggiatura e presto lo affiancherà un altro sceneggiatore, probabilmente inglese. Non abbiamo ancora scelto gli attori e neppure la location è certa. L’idea è quella di realizzarlo in Irlanda ma neppure gli Usa sono esclusi. Se tutto andrà secondo i programmi le riprese inizieranno nell’estate del 2002.

Nel recente convegno veneziano sulle forme di sostegno all’impresa audiovisiva, lei ha invocato l’istituzione di una tax-shelter all’italiana. Può spiegare meglio la sua proposta?
Penso a una forma di tax-shelter a metà tra il modello tedesco e quello canadese. Mi spiego: in Germania la tax-shelter funziona bene per la raccolta dei fondi. Prevede la detassazione estesa a imprese e singoli che riguarda soprattutto le SIM cioè le società di investimento nell’audiovisivo. Per me è fondamentale che nelle nuove forme di sostegno siano comprese anche le televisioni che investono attraverso i produttori indipendenti. Ho paura che la tendenza positiva del cinema e della fiction italiana sia bloccata dalla crisi delle tv costrette a ridurre gli investimenti non perché siano disinteressate ma a causa dei loro problemi interni. Il riferimento al modello canadese riguarda invece le modalità di spesa. Il Canada aveva gli Usa in casa per cui ha inventato un modo, che si è rivelato molto efficace, per difendere i suoi prodotti. Naturalmente, la tax shelter a cui penso è riferita alla dimensione europea e non più solo italiana.

Riccardo Tozzi Il nuovo governo si è mostrato aperto a queste proposte?
Le dichiarazioni di Urbani sono consolanti. Se non sbaglio ha detto che si muoverà nella direzione degli incentivi fiscali e che la selezione dei film da finanziare non sarà più affidata alla sola Commissione. Le sue intenzioni coincidono dunque con le richieste dei produttori. Ora attendiamo che diventino concrete.

Che cosa distingue Cattleya dagli altri produttori indipendenti italiani?
Direi la dimensione industriale. Cioè l’autonomia finanziaria che ci permette di fare i film in cui crediamo. Poi l’orientamento all’estero e, in questo senso, anche le coproduzioni sono un’ottimo strumento. Abbiamo creato una rete di contatti che rende possibile la realizzazione di film internazionali. Questo anche grazie alla composizione interna dell’azienda che comprende persone di vari paesi. Per il resto ci consideriamo parte di un gruppo di produttori indipendenti che puntano sulla qualità.

Pensate a quotarvi in borsa?
Per ora no. La nostra gestione è indirizzata alla solidità. L’anno scorso abbiamo chiuso in attivo, un risultato sbalorditivo vista la nostra giovane età. L’obiettivo è creare una società forte e per il momento non vogliamo subire le oscillazioni della borsa che potrebbero condizionarci. Nel futuro chissà…

Di recente avete prodotto “Hotel” di Figgis, un film in digitale. Che cosa pensa della diatriba sul tramonto della pellicola?
Va precisato che Hotel è un prodotto particolare. Le ricerche di Figgis sul quadrischermo sono realizzabili solo in digitale. Ma questa è l’epoca di maggior splendore della pellicola e non vedo perché dovremmo rinunciare a godere delle sue potenzialità, prima tra tutte la qualità della fotografia. Certo, il digitale è un’area su cui lavorare, soprattutto per le opere giovani. Ma non credo nella sua esaltazione in sé per sé.

Come valuta la Mostra del Cinema appena conclusa?
Bene. Tutto si è svolto in modo lineare. Il premio alla splendida interpretazione agli attori di Piccioni è un ottimo segnale per il cinema italiano. Inoltre, lo vediamo in questi giorni, sta giovando alle sorti commerciali del film. La Mostra può diventare un’ottima vetrina per il cinema europeo anche perché Cannes è ormai un festival troppo complicato per il nostro cinema.

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14 Settembre 2001

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