Voleva essere il Freddo, gli è toccato il ruolo del Nero.
Riccardo Scamarcio, 24 anni, pugliese, diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia, smette i panni di Step, sexy symbol per adolescenti di Tre metri sopra il cielo di Luca Lucini, per entrare in quelli del killer di ghiaccio, estremista di destra, sospetto stragista di Romanzo criminale, il film tratto dallo strepitoso noir del magistrato Giancarlo De Cataldo e affidato a Michele Placido.
Interpretare il Nero è una vera sfida per il giovane attore che affianca Stefano Accorsi, Pierluigi Favino, Kim Rossi Stuart e Claudio Santamaria, volti cinematografici della Banda della Magliana, holding criminale lanciata alla conquista della Roma anni Ottanta.
Da oggi e per 7 settimane Scamarcio è anche sul set milanese di L’uomo perfetto, opera seconda di Lucini dal titolo che ammicca al film di Frank Oz con Nicole Kidman.
Ad unire i due film di Placido e Lucini è la produzione: la Cattleya di Riccardo Tozzi che su Scamarcio sembra puntare parecchio.
Il tuo approccio con “Romanzo criminale”?
Mentre leggevo pensavo a C’era una volta in America, un film che amo molto. Il rapporto tra il Freddo e il Libanese, è simile a quello tra Noodles e Max. Come gli antieroi di Sergio Leone puzzano di strada, il Libanese freme dalla voglia di crescere e conquistare un’intera città, il Freddo cerca di riportarlo sulla terra. Prima di leggere Romanzo criminale sapevo poco della banda della Magliana e dei suoi rapporti con i servizi deviati: una tesi che il film sposa. Il Freddo è il personaggio che preferisco ma mi è toccato il ruolo del Nero.
Parlaci di lui. Cosa cambia nel film rispetto al romanzo?
Rispetto al libro manca il rapporto confidenziale con il Freddo. Poi il film non enfatizza la sua ideologia fascista. Il Nero è un individuo in conflitto con la comunità, un killer che uccide con pacatezza. Veste abiti attillati e di buon taglio, adeguati alla sua estrazione sociale. Interagisce con la banda ma non vuole farne parte. Pratica arti marziali e ha imparato a controllare le energie e sprigionarle nell’attimo dell’attacco e dell’omicidio. Appare in una decina di scene ma ha un’identità forte che spicca rispetto a tutto il “coro” esterno alla banda. Il momento più forte è quando rivela al Freddo la sua ossessione: osservare il momento che precede la morte.
Ti vedremo uccidere e combattere?
Sì. Ho preso lezioni di kung fu per 2 settimane. Ci sono due scene in cui combatto: la prima è una sorta di introduzione del personaggio, la seconda è vista attraverso gli occhi del Libanese.
In “Romanzo criminale” reciti accanto agli attori italiani più quotati. Come ti senti?
Mi sento quotato. E’ una piccola consacrazione: significa che forse non sono poi così male. Sul set ho capito perché loro sono considerati i migliori: umanamente sono fantastici, di fronte alla camera sono accuratissimi.
“L’uomo perfetto” di Lucini è la tua prima commedia. Come ti senti in un ruolo comico?
Bene. Ho scoperto un verve brillante mai sperimentata finora. E’ una commedia sofisticata in cui sono un attore un po’ sfigato, apparentemente superficiale. Entro in un gruppo di tre amici interpretati da Francesca Einaudi, Gabriella Besson e Gianpaolo Morelli e alla fine emergo come la persona più autentica.
Cattleya punta molto su di te.
Con loro c’è un ottimo rapporto di lavoro. Sono gli unici che sperimentano un meccanismo produttivo in cui la qualità è unita all’attenzione al mercato.
“Tre metri sopra il cielo” ti ha lanciato ma c’era il pericolo di rimanere intrappolato nel ruolo di Step.
In Italia questo pericolo c’è sempre: per troppa superficialità o per il cinismo intellettuale di una critica che difficilmente riesce a dare voce al pubblico. Con il ruolo di Step ho vinto il Globo d’Oro ma già prima di girare avvertivo nell’aria la trappola del ruolo da “bello e dannato”. Non mi sono fatto condizionare e ho avuto ragione. Certo, alcune critiche mi hanno irritato: qualcuno ha detto che Tre metri… racconta “solo una parte della città”. Ma il cinema non ha una funzione educativa, il suo compito è far sognare. Accetto un giudizio tecnico ma non quello sociologico.
Se il cinema ha il compito di far sognare quale è il ruolo dei tuoi sogni?
Credo di essere un attore dalle molte sfaccettature. Mi piacerebbe portare in scena il mio delirio personale fatto di paure, rabbie, forza e fragilità, recitare in un ruolo simile a quello di Mastroianni in 8 ½. Fellini ha mostrato il mondo fantastico che abbiamo dentro e la trama è solo un pretesto per esprimerlo.
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