CANNES – Un enorme spazio bianco, come una sauna, dove sono tutti nudi. Qui Juan concede in una stanza la moglie Natalia a uno dei tanti presenti mentre lui stesso ed altri assistono all’amplesso. Questa è certamente la scena che fa più parlare di Post Tenebras Lux, film in concorso del messicano Carlos Reygadas, che già nel 2005 aveva ‘scandalizzato’ la Croisette con una esplicita fellatio in Batalla en el cielo.
Ma qual è il tema di questa nuova pellicola? Alcuni giornalisti, confusi, in conferenza stampa, ammettono di non saperlo esprimere. Prima compare il diavolo, poi si cita ‘Guerra e Pace’ di Tolstoj. E ancora, la rivoluzione messicana, e tanti, tanti scenari alpini, meravigliosi. Noi, dal canto nostro ammettiamo che, per riprenderci dopo la visione, ci siamo infilati, come comunissimi cittadini, in una sala dove proiettavano Men in Black III.
Rinvigoriti dalla visione del blockbuster commerciale, stamattina abbiamo provato a chiedere aiuto al regista. Che ha risposto, divertito: “Lasciate stare le sinossi. Il film parla di quello che avete visto. Se non sapete dire di cosa parla, ebbene, questo è il più grande complimento che mi possiate rivolgere. Per quanto mi riguarda, i miei film sono normali, facili, realistici. Non ci sono limiti all’immaginazione, a parte i limiti della persona che immagina”.
Colpisce molto, questo è certo, l’aspetto formale: girata in 4:3, come in tv, per intenderci, la pellicola fa uso di obiettivi che, negli esterni, sdoppiano l’immagine ai lati dello schermo: “E’ semplicemente una questione estetica – spiega Reygadas – rappresenta la mutevolezza della vita. Inoltre, il formato che ho scelto si adatta bene a rendere la possenza delle montagne. Poi ho capito che era adatto anche a filmare le persone. Ho usato dieci videocamere, ma non arnesi complicati. Ho usato la luce naturale, per lo più. E ho cercato di riprendere il tutto come se si trattasse di un evento, in maniera realistica, cronologica. Non volevo che sembrassero pezzetti di girato presi qua e là e poi montati”.
La struttura non è certo lineare. “Ne sono cosciente – spiega ancora il regista – Non lo è nemmeno il suo concetto di fondo. Attorno al protagonista Juan non ci sono molte luci, per questo ero preoccupato del titolo. Ma alla fine anche lui riesce a trovare un luogo dove tutto brilla, è un’immagine che mi ha ispirato proprio Tolstoj, uno dei miei scrittori preferiti. Ma io cerco, lo ripeto, di fare film realistici. Tutti abbiamo ricordi del passato, o immagini del futuro, e per correlarle usiamo un codice. Io, nel film, non l’ho voluto usare. Ho rispetto del pubblico, lo penso intelligente. So di non poter piacere a tutti, mi va bene, lo trovo giusto. Ma so anche che c’è una parte di pubblico che è interessata a questo genere di film ed è a quella parte, magari piccola, che io voglio piacere. E’ importante dire le cose come le si sente”.
Parliamo allora delle due scene ‘clou’, la sauna e l’apparizione di Satanasso. Quel che accade nel film, rappresenta lo sguardo del Diavolo? “Non so spiegare la presenza del Diavolo – conclude Reygadas – Posso dirvi da dove viene: era un sogno ricorrente che mi ha traumatizzato quando ero piccolo, e vivevo nella casa dove è stato girato il film. La cassetta degli attrezzi che ha il Diavolo in mano, era quella che usava mio padre. Per quanto riguarda la scena della sauna, come potete immaginare all’inizio eravamo tutti piuttosto nervosi, ma alla fine è risultata un’esperienza divertente. E’ semplicemente una scena che ho immaginato, l’ho scritta di getto e l’ho filmata. Ho cercato nei miei attori la stessa naturalezza che c’è nei bambini. Nel film recitano anche dei bambini, ed è fantastico perché non sanno di essere in un film e non sanno di recitare. Fanno quel che farebbero nella vita di tutti i giorni, si divertono. Filmare bambini è come filmare un albero, o l’acqua che scorre. Ecco, ho cercato di raggiungere lo stesso risultato anche con gli adulti”.
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