Dopo le atmosfere montane, nebbiose e contraddittorie del thriller diretto da Donato Carrisi, La ragazza nella nebbia, Alessio Boni torna sul grande schermo con un ruolo attiguo per circostanze e sentimenti: in Respiri è Francesco, padre di una bambina dalla chioma rossa – colore dei capelli che la accomuna alla protagonista del film sopracitato: probabilmente un colore metaforico e inquietante, che in questo film è una cromìa simbolica ripetuta; con lei si trasferisce sul lago d’Iseo, ambientazione lacustre che concorre a dipingere visivamente, quindi narrativamente, il senso d’inquietudine del racconto. Sembra… ci siano Francesco e la bambina nella villa di famiglia, ma ci sono… anche la cerea tata Anna (Milena Vukotic), il saggio medico di famiglia (Lino Capolicchio), un inquietante giardiniere/nonno (Pino Calabrese), un’infermiera (Eva Grimaldi) e Marta (Lidiya Liberman), amica d’una vita di lui, da sempre il grande amore di lei e, infine, una donna (Valentina Cenni), nel suo letto di malattia. Questo il “gruppo di famiglia” che guardiamo agire e aggirarsi nel labirinto interno ed esterno alla villa, interno ed esterno alla mente.
La villa, di per sé un altro personaggio, in scena sin da subito: un impeccabile esempio architettonico e artistico di Liberty, in cui s’inserisce, per prima e sola, una Milena Vukotic intensa, silenziosa, e passeggiante in corridoi controluce o marmorei, come a contrasto tra impalpabile e monumentale, mentre la camera del regista corre tra le stanze disabitate eppure piene di mobilio coperto da teli bianchi, come corpi morti, ma presenti.
La regia dell’esordiente Alfredo Fiorillo si manifesta subito generosa nelle panoramiche, nei movimenti di macchina che accarezzano gli stucchi pastello, nell’inseguimento dei filetti fluidi del motoscafo su cui Boni approda alla villa, come nei ripetuti plongée, tagliati dal vetro lattiginoso dei lampadari di Murano o nelle soggettive dello stesso attore. C’è una forte componente estetica nel film, sia nella visione, sia nella costruzione – scenografie, fotografia, bellezza un po’ meno potente nella sceneggiatura, che a tratti lascia sospensioni e qualche fatica di lettura, forse anche per la complessità altissima del soggetto da raccontare: le distorsioni patologiche della mente umana.
Un film sulla messa alla prova della psiche, sulla capacità di resistenza e resilienza, che Alessio Boni interpreta con empatia di sentimento – confuso, indifeso, posseduto, nervoso – verso il suo Francesco, e non senza uno strano e affascinante caso di connessione con i luoghi del film: “Alfredo mi parlava di clima gotico in fase di preparazione, e dei sopralluoghi che erano in corso: io sono nato a Sarnico, vicino a Bergamo, e Villa Faccanoni, una delle location, era il posto in cui si portavano ‘a raccogliere le ciliegie’ le ragazzine olandesi lì in campeggio, per farle incantare con tanta bellezza”.
L’attore, all’anteprima del film, ha continuato il racconto entrando nel cuore della storia e della realizzazione: “C’è una parola che sta bene accanto a tutto e tutti: coraggio. Quando sento progetti con queste qualità mi ci butto, il linguaggio non mi interessa. Fiorillo non aveva fatto un lungometraggio precedente e mi sono potuto affidare solo a lui: la cosa che mi ha colpito era il viaggio della psiche, il dolore che può portare al bipolarismo. Non mi è mai capitato di interpretare un personaggio così: schizofrenico, che si fa domande e si dà risposte. Mi ha ‘preso’ subito, io che se non fossi stato preso all’Accademia avrei voluto fare psicologia. Non c’è nessuna differenza tra l’iperbolico internazionale The Turist e questo film indipendente, se non il denaro, nessun’altra differenza. Io ci sarò sempre per i tentativi coraggiosi”.
Indipendenza che stava a cuore anche agli sceneggiatori, nonché produttori. “Negli ultimi anni alcune Leggi hanno facilitato le produzioni private – ha detto Fiorillo – Ci sono comunque delle difficoltà, anche se credo noi abbiamo messo in moto una macchina grazie anche a realtà non connesse direttamente con il cinema, cosa che reputo una strada interessante. Di certo, in sceneggiatura, c’è molto riferimento ‘di genere’: cinema italiano anni ’70, come Bava. Credo al tempo stesso sia un film tanto italiano, quanto internazionale. Io avevo solo un’idea chiara: un labirinto mentale, giocato con distanze, prospettive, ossessioni”. Sul doppio filo dell’indie e del genere, il parere di Angela Prudenzi, seguita da Alessio Boni: “L’aspetto positivo in assoluto dell’indipendenza è quello della maggiore libertà: di contro sei condizionato dal fatto di aver meno soldi e sarei non sincera se dicessi che non ci è dispiaciuto non avere il supporto del MiBACT, ma questa l’abbiamo letta come una sfida maggiore. Noi siamo un piccolissimo ‘caso’ produttivo: siamo arrivati alla fine, quindi si può fare anche così il cinema, certo con il progetto giusto, cercando gli interlocutori giusti, con un mirato lavoro di marketing”, non dimenticando che: “Il pubblico italiano – ha puntualizzato Boni, era disabituato al genere, adesso invece c’è un ritorno, forse anche grazie alle serie tv e quindi ora, rispetto ad una decina di anni fa, ci si butta dentro. È più rischioso ‘il genere’, non è accomodante ma è potente”.
Con Alessio Boni, sul grande schermo, e all’anteprima, anche la piccola Eleonora Trevisani, 11 anni oggi, 9 all’epoca delle riprese, perfettamente inquietante nel ruolo della figlia Elisa: “Non è che avessi capito tantissimo la storia, che mi è stata chiara solo dopo aver visto il film. Cosa aveva in mente Francesco? Aveva qualcosa che non andava, questo lo avevo capito. Nel primo casting mi sono mostrata, nel secondo ho recitato la filastrocca che canto nel film e che mi faceva provare qualcosa, mi faceva sentire cattiva, eppure mi sentivo bene. L’ho vissuta divertendomi questa esperienza, ma mi rendevo conto di dover restare abbastanza seria. Mi immaginavo tutto come un gioco in cui avevo voglia di vincere, recitavo facendo tantissime domande per interpretare perfettamente”. Una bambina scelta dopo 5 mesi di provini e 8.000 aspiranti per il ruolo. Numeri questi che si uniscono a quelli delle settimane di riprese, cinque anch’esse, e all’anno dedicato al montaggio e al lavoro sul suono, a cura di Teho Teardo.
Tra gli altri artisti del progetto, presenti all’anteprima del film, anche Eva Grimaldi: “Non semplice essere verosimili nel campo dell’immaginazione. Ero in trans: ero come a 10 cm da terra. Questo personaggio è atipico per le mie corde, mi ricorda il mio film ‘veneziano’ con John Irving, L’educazione fisica delle fanciulle (2005). Ero in apnea, dovevo rallentare il mio battito cardiaco mentre recitavo: entravo in questa magia. Mancavo dal set da tempo: torno fiera, felicissima e ringrazio un’altra donna, Angela Prudenzi”. Con lei, anche Pino Calabrese, che del recitare un ruolo così sospeso, ha ammesso: “La cosa non è facile ma comunque avevamo riferimenti cinematografici, come The Others. Il mio personaggio rischia tanto, è borderline tra cattiveria e pedofilia, un crinale pericoloso. È come dover fare due parti insieme: fare il personaggio, senza tralasciare quello di Alessio”.
La coppia Angela Prudenzi-Alfredo Fiorillo ha prodotto Respiri con L’Age d’Or – fondata nel 2012 – in associazione alla polacca Agresywna Banda e all’italiana Agnus Dei. Il film esce in sala dal 7 giugno, distribuito da Europictures.
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