Resnais: “Parlo della morte, ma non faccio ancora testamento”


CANNES – Fa sorridere che un regista che sta per compiere 90 anni, il 3 giugno, decano di un concorso dominato da autori più che maturi, dica al suo pubblico: “Non avete ancora visto niente”. In un tono che sta tra la promessa e la minaccia. Ma Alain Resnais – accolto dai suoi attori con una commossa standing ovation – confessa che il titolo del suo film, appunto Vous n’avez encore rien vu, non è che un gioco. “Eravamo lì al montaggio e da uno scherzo è venuto questo piccolo tormentone che può alludere anche al fatto che non sappiamo esattamente cosa ci accadrà qui sulla Terra”.

Il tono è dunque leggero, anche se i temi sono impegnativi: l’amore perduto e ritrovato, le scelte subitanee che cambiano la vita, la memoria che trattiene ogni parola pronunciata, ogni volto incrociato, e infine la morte, che potrebbe persino avere un sapore dolce. Ma non è il caso di chiedere lumi all’anziano maestro francese, “sulla morte non c’è risposta, da che mondo è mondo. Quando nasci, sai già di essere affetto da un male incurabile. Sono stati scritti milioni di libri, pièce teatrali e film sull’argomento, eppure queste domande siamo condannati a porcele indefinitamente”.

Così come le parole di Jean Anouilh (1910-1987) che sono la materia prima del film vengono ripetute e fatte proprie da ogni generazione di attori. In questo caso due testi, Eurydice e Cher Antoine ou l’amour raté che Resnais ha incastonato con l’aiuto di Laurent Herbiet e Alex Reval all’interno di un’ossatura narrativa semplice: una decina di attori nei panni di se stessi ricevono la stessa telefonata. Il loro amico, il grande commediografo Antoine d’Anthac, è morto e ha chiesto che si riuniscano tutti in una sua dimora in campagna per adempiere alle sue ultime volontà, ovvero valutare un nuovo allestimento di Eurydice fatto dalla giovane Compagnie de la Colombe, visto che ciascuno di loro, in epoche diverse, ha recitato nella pièce.

 

Due coppie in particolare prendono la scena, lasciando poco spazio alla moderna performance dei giovani attori (che vediamo in un video realizzato da Bruno Podalydés): una formata da Sabine Azéma e Pierre Arditi, l’altra composta da Anne Consigny e Lambert Wilson. Ed è Anne Consigny a riassumere al meglio il cuore della sfida: “Non ho più l’età per fare Euridice, ma ho capito che stavolta, piuttosto che interpretare un personaggio, dovevo essere me stessa e chiedermi come sono quando parlo d’amore, se ad esempio, incontrando l’uomo della mia vita, direi subito la verità”.

È proprio il bizzarro e infantile gioco delle coppie a ricollegare il film ai suoi precedenti e in particolare al più recente, Gli amori folli, che gli valse un premio per l’insieme della carriera qui a Cannes. Anche se lui nega qualsiasi continuità e smentisce anche di aver voluto in qualche modo presenziare al suo funerale. “I miei film sono tutti diversi, cerco di non ripetermi, e di sicuro questo non è un testamento, non avrei avuto l’energia di farlo. Mi interessava principalmente il legame tra cinema e teatro che per me, nonostante l’opinione di molti che considerano il teatro più nobile, è fortissimo. Hanno molto in comune: gli attori e la continuità perché durante la visione non si può interrompere né ripetere la stessa scena, anche se certo sul palcoscenico c’è sempre il rischio che il trapezista cada”.

Un ruolo forte l’ha giocato il sincero amore per i 15 attori prescelti, con molti ospiti fissi del suo cinema (Mathieu Amalric, Michel Piccoli, l’onnipresente moglie del regista Sabine Azéma), e qualche nuovo acquisto come Hippolyte Girardot o Denis Podalidés. Tuttavia tra tante emozioni non manca un retrogusto amaro: “Anche nel nocciolo dei frutti si nasconde un po’ di veleno, come nella musica barocca c’è qualcosa di inquietante”, conclude Resnais.

autore
21 Maggio 2012

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