Renzo Martinelli: “Dopo Carnera, Alberto da Giussano”


Ci saranno anche Silvio Berlusconi e Umberto Bossi all’anteprima di Carnera-The Walking Mountain, che sarà proiettato domani a Villa Erba, sul Lago di Como, in una serata ricca di campioni italiani, e non solo del pugilato: Nino Benvenuti e Dino Meneghin, Alberto Cova e Sara Simeoni, Manuela Levorato e Manuela Di Centa. Tutti a festeggiare il gigante buono Primo Carnera che nel film di Renzo Martinelli rivive con la sua prodigiosa statura e i suoi valori semplici: l’attaccamento alla terra, l’amore per la famiglia, il culto delle radici, la consapevolezza che bisogna rialzarsi ogni volta che la vita ti getta al tappeto. Il film, interpretato dall’esordiente Andrea Iaia, in cui il regista di Cesano Maderno ha ritrovato il corpo da gigante e il cuore puro del vero Carnera, è ricostruito attraverso testimonianze della figlia Giovanna e del campione dei pesi medi Nino Benvenuti, e ha nel cast anche Murray Abraham, Kasia Smutniak, Antonio Cupo, Paul Sorvino, Anna Valle. Uscirà nelle sale il 9 maggio con Medusa.

Domani all’anteprima italiana ci saranno il nuovo premier e molti esponenti della Lega Nord.
E’ vero, ci sarà mezzo governo: lo faccio per proteggere il mio Carnera, che non è certo un prodotto facile come Notte prima degli esami o una commedia di Aldo, Giovanni e Giacomo. Adesso che deve affrontare la prova del mercato bisogna proteggerlo.

Pensa che ce la farà?
Lo spero. È un film spettacolare e molto commovente, diciamo nazionalpopolare, in questo molto simile a Vajont, il mio film più amato dal pubblico.

I ragazzi che vanno in massa a vedere i film adolescenziali si riconosceranno nei valori di Primo Carnera, tipici dell’Italia degli anni ’30?
Non lo so, ma credo che sia importante riproporli oggi che c’è una quasi totale mancanza d’identità. Siamo fagocitati da altre culture e altri stili di vita. Invece Carnera aveva l’orgoglio di essere italiano, e anzi friulano. Friulani e sardi sono i più attaccati alle tradizioni e al territorio.

Più dei lombardi?
Certamente, forse perché vivono in una terra di confine, vicini agli stranieri e dunque hanno sviluppato una identità forte che difendono anche quando emigrano, con associazioni come il Fogolar Furlan. L’ho scoperto girando Vajont e dopo sono sempre tornato volentieri in quelle terre.

La difesa dell’identità locale è un tema molto sentito nel suo cinema.
Con Il mercante di pietre ho lanciato l’allarme: noi europei rischiamo di essere fagocitati da altre culture, in particolare dall’Islam. Ma possiamo correggere questa tendenza riscoprendo i nostri 2000 anni di storia.

Ecco perché il suo prossimo film ripercorre la lotta contro l’imperatore Federico I detto il Barbarossa.
La Lega lombarda nacque al di là delle rivalità tra i Comuni per liberarsi dall’oppressione straniera e riconquistare l’indipendenza. Ed ecco la necessità di ritrovare una coesione di fronte all’aggressione di altre culture. I musulmani credono in quello che fanno e nella loro identità, noi siamo più concentrati sull’immediato, il telefonino, la macchina, il computer… È incredibile ma la Costituzione Europea, in più di 70mila parole, non cita mai il termine “cristiano”. Neanche una volta.

“Barbarossa” sarà un kolossal, come è riuscito a trovare i finanziamenti?
Sarà un kolossal epico con un budget di 10 mln €, prodotto da Rai Cinema, Rai Fiction, dalla mia società e con capitali di investitori privati, questi li ho raccolti con grande fatica.

Perché con fatica?
Perché i privati hanno timore a investire nel cinema, fintanto che manca lo strumento fiscale. In questo senso il ministro uscente Rutelli ha aperto una strada al tax shelter, defiscalizzando il 40% dell’investimento privato. Bisogna far uscire il cinema dall’assistenzialismo: lo Stato finanzi l’opera prima e poi chi ha talento continuerà a lavorare con capitali privati. Per Carnera abbiamo avuto un 10% del budget da Giuseppe Marra Communications, per Barbarossa c’è la partecipazione del notaio Volpe di Torino, proprietario di Tecnocasa, che ha riconosciuto al progetto un potenziale di mercato altissimo.

 

Cosa chiederebbe al nuovo ministro dei Beni Culturali per il nostro cinema?
Appunto, di proseguire e confermare il tax shelter per farci uscire dall’assistenzialismo. In Canada, grazie a questi incentivi, il 30% di un budget può essere coperto da investitori privati. Trasformiamo il nostro cinema da avventura piratesca in fatto industriale.

Tornando a “Barbarossa”, le riprese cominceranno a fine maggio: dove girerete?
Gli esterni e alcune costruzioni in Romania, dove si trovano ancora i paesaggi incontaminati del Medioevo che in Italia sono impensabili. Poi verremo a Cinecittà, che considero una vera cittadella del cinema, per Cinecittà ho un attaccamento totale e i tecnici mi adorano.

Novità per il cast, oltre al Barbarossa di Rutger Hauer e a Raz Degan nel ruolo di Alberto da Giussano?
Hristo Shopov (The Passion of the Christ) sarà un consigliere di Barbarossa, Murray Abraham, che mi segue da molti film, sarà Siniscalco Barozzi, il traditore che vende Milano ai tedeschi, Cécile Cassel, la sorella di Jean-Pierre, la sposa bambina di Federico.

Come ha ricostruito la vicenda storica: avete lavorato su documenti d’epoca?
Il XII secolo è uno dei più sconosciuti, non certo come la battaglia di Vienna del 1683 su cui vorrei realizzare un altro film. In questo caso ci sono pochi riferimenti iconografici, appena qualche bassorilievo in marmo. Ho attinto ai documenti conservati all’archivio del Comune di Milano e ai libri degli storici, da Cardini agli studiosi tedeschi. Il nostro consulente, Federico Rossi, ha passato anni negli archivi.

Si sente un isolato nel panorama del cinema italiano?
Sì, perché manca totalmente l’epicità e la sfida. È un cinema autoriale in cui non mi riconosco. Mi sento più vicino a Oliver Stone, perché unisce contenuti importanti a un forte impianto spettacolare. Carnera è stata una gigantesca postproduzione, la più grande mai fatta in Europa, con 1.500 inquadrature digitali e venti mesi di lavoro al computer, intere folle ricostruite con un software che riproduce le comparse con il sistema del crowd replication.

Questo tipo di cinema spettacolare si vende bene all’estero?
Certo, a patto che sia girato in inglese, con un cast internazionale e su temi sovranazionali. Per Carnera, di cui sto trattando le vendite estere con la mia società di Los Angeles, la Epic Pictures, si prevendono dai 6 agli 8 mln di dollari di rientri, mentre Il mercante di pietre, nonostante il tema scottante, è stato venduto ovunque, tranne che nei paesi arabi.

Vuole fare concorrenza a Hollywood?
Hollywood ha un know how cento volte il nostro. Martinelli fa un film ogni due anni, loro ne fanno centinaia e non hanno il problema della lingua. Però a vedere Carnera al Madison Square Garden di New York sono venuti 3.000 italoamericani e tutti erano entusiasti e commossi…

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29 Aprile 2008

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