Redford, dal Vietnam a Occupy


VENEZIA – Come Clint è un attore passato dietro la macchina da presa alla grande (tanto da vincere un Oscar, per Gente comune). E come Clint ama la politica, anche se sta sulla sponda opposta, almeno a giudicare dalle recenti dichiarazioni pro-Romney di Eastwood, mentre lui sostiene ovviamente Obama: “C’è chi come lui crede che il cambiamento sia inevitabile e vuole governarlo e chi lo teme e vuole evitarlo a tutti i costi”.

 

Robert Redford arriva fuori concorso a Venezia con The Company you Keep, con la sua bella faccia che è ormai una carta geografica di rughe e un cast che, a parte Shia LaBeouf, è un omaggio nostalgico alla gloriosa Nuova Hollywood. Ma è un piacere ascoltarlo e la sua conferenza stampa è una delle più sensate di tutto il festival. Anche il film è un thriller politico girato alla vecchia maniera, con qualche luogo comune e belle immagini d’archivio (ne avremmo volute di più), che rievoca un episodio degli anni della contestazione, quello dei Weather Underground, gruppo radicale che, ai primi anni ’70, scivolò in clandestinità compiendo attentati dinamitardi e una rapina in banca in cui ci scappò il morto. Ma perché parlarne ora?

“E’ passato tanto tempo da quei fatti, ormai sono entrati nella storia americana e adesso si possono raccontare con la giusta distanza”, dice Redford. Che si è ispirato a un romanzo di Neil Gordon e ha cercato di ritrovare toni e atmosfere di Tutti gli uomini del presidente, il famoso film di Alan J. Pakula sul Watergate fortemente voluto proprio da Redford, che lì aveva il ruolo di un giovane cronista del ‘Washington Post’, decisivo nell’impeachment del presidente Nixon insieme al collega Dustin Hoffman.

 

Anche in The Company you Keep – che in Italia uscirà con 01 Distribution – c’è un giornalista d’assalto al centro della vicenda (è interpretato da Shia LaBeouf), un giovane segugio di provincia che nell’ansia di fare uno scoop, tira in qualche modo le fila di tutto il racconto, mettendo insieme i pezzi del puzzle sempre un passo avanti rispetto all’Fbi. Ne fa le spese l’avvocato Jim Grant (Redford), da poco rimasto vedovo con una figlia di 11 anni, che si trova braccato in tutti gli States per un omicidio commesso 30 anni prima nel clima infuocato della protesta. “E’ vero, ci sono analogie con Tutti gli uomini del presidente – ammette Redford – ma soprattutto con I Miserabili di Victor Hugo, dove un fuggitivo viene perseguitato da un poliziotto testardo”.

Il regista, che al Lido ha brevemente incontrato anche il presidente Giorgio Napolitano, ha voluto anche riunire alcune vecchie glorie nel cast (Nick Nolte e Julie Christie, accanto a Susan Sarandon, Richard Jenkins e Stanley Tucci). Come mai? “Non li considero vecchie glorie, di cui del resto anch’io faccio parte, ma attori bravissimi e giusti per il ruolo. Io e Julie Christie siamo arrivati nel mondo del cinema più o meno nello stesso periodo”, spiega.

 

Inevitabili anche i confronti col presente e le proteste di Occupy. “Ogni generazione ha le sue ribellioni. Nonostante il movimento, Wall Street continua a sopravvivere, a non cambiare mai. Come dice Julie Christie nel film ‘i super super ricchi stanno benone’, mentre il resto del Paese sta male, ma io sono pieno di fiducia nella nuova generazione, spetta a noi dare in eredità ai ventenni e ai trentenni un Paese non marcio. Le proteste degli anni ’70 hanno un gran valore anche oggi”, commenta il regista. Anche LaBeouf, classe 1986, dice la sua: “Non abbiamo la stessa posta in gioco. I ragazzi di allora erano obbligati ad andare in guerra e uccidere, noi siamo solo a pezzi per la crisi”. Una riflessione anche sul giornalismo investigativo da parte di Redford: “E’ cambiato molto con le nuove tecnologie, internet, i computer, che hanno portato un flusso costante di informazioni, ma oggi scoprire la verità è diventato ancora più difficile proprio per questo”. Aggiunge Shia: “Oggi c’è meno idealismo, lo scoop è al centro di tutto”.

Un idealismo a cui il patron del Sundance Festival non sembra avere rinunciato, così The Company you Keep è anche un film sui sentimenti, l’identità che si trasforma col passare del tempo con diverse sfumature, la coerenza ideologica. Mentre il personaggio di Redford è condizionato nelle sue scelte dall’amore per la figlia piccola, l’ex compagna Julie Christie, che ha continuato a vivere in clandestinità cambiando sei identità in 30 anni e non accettando legami, non sembra affatto pentita. “Il film si chiede anche cosa sono diventati adesso quei ribelli. C’è chi si è pentito, chi è convinto di aver sbagliato qualcosa ma non ha abbandonato le sue idee, chi è rimasto in pieno fedele alla vecchia causa”. E aggiunge una riflessione sulla caduta nel terrorismo di quei rivoluzionari anni ’70: “Anche se io all’epoca non facevo politica, posso dire che di sicuro si battevano per una buona causa, però l’egocentrismo e l’autocompiacimento li hanno resi autodistruttivi. La violenza è sempre l’ultima spiaggia”.  

autore
06 Settembre 2012

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