Negli anni Sessanta Tangeri era un’interzona, crocevia di commerci illegali e piaceri proibiti, meta di artisti, contrabbandieri, spie, ciarlatani e vagabondi.
Qui Mohamed Choukri, analfabeta fino a 20 anni, scrisse Il pane nudo, storia autobiografica di un’adolescenza estrema segnata da un padre feroce, dalla fame e dalla prostituzione. Il libro uscì in inglese nel 1973, tradotto da Paul Bowles. Fu subito scandalo: il Marocco lo vietò ma non riuscì ad impedire che divenisse un romanzo culto.
Choukri è morto nel novembre 2003 ma l’arte/vita del Il pane nudo ora rivive nell’omonimo film di Rashid Benhadj, regista algerino 50enne, trait d’union tra Oriente e Occidente.
Prodotto da Roberto De Laurentiis per Progetto Visivo, Essa&Bi, e AE Media Corporation con il contributo del ministero, è interpretato da Saïd Taghmaoui, volto arrabbiato de L’odio di Kassovitz.
L’Unesco, che ha già tributato una medaglia a Benhadj per Mirka, ha adottato la pellicola e organizzerà un’anteprima a Parigi in occasione dell’anno dell’alfabetizzazione. Il pane nudo, in questi giorni in postproduzione a Cinecittà, sarà distribuito da Esse&Bi.
Quando hai scoperto “Il pane nudo”?
Avevo 16 o 18 anni. Nei paesi arabi il libro era vietato perché, per la prima volta, raccontava la società araba senza veli. Ma è circolato in clandestinità fino a diventare il manifesto di una generazione. In Marocco il divieto è caduto solo nel 2000, in Egitto è ancora vigente. Choukri è come Pasolini: un autore maledetto, vissuto senza compromessi, integro e così intenso che i suoi libri sembrano scritti col sangue.
Da quanto tempo lavori al film?
3 anni fa ho scoperto che i diritti del romanzo erano liberi e li ho opzionati. Ho contattato Choukri per discutere la sceneggiatura. L’impatto è stato forte, ci sono stati anche conflitti perché temeva interferenze nella sua intimità. Poi, prima di morire, a una settimana dall’inizio delle riprese, mi ha ringraziato.
Quali aspetti del libro hai messo a fuoco?
L’inarrestabile sete di sapere del giovane Mohamed. Il film si articola in tre parti con attori diversi. L’infanzia è fatta di fame e sfruttamento, poi c’è la scoperta del sesso e dei bordelli. Nella metà degli anni Cinquanta, mentre il Marocco è sconvolto dai cambiamenti, Mohamed viene arrestato. In prigione è affascinato da un uomo che scrive sui muri poesie sulla libertà e contro il colonialismo. Scopre che la sua miseria più grande non è la fame ma l’ignoranza. E’ la svolta: va a scuola, diventa professore poi scrittore. Il film si ferma qui. In chiusura ci sono le immagini del vero Choukri al cimitero, accanto alla tomba del fratello ucciso dal padre, dove ha scritto la maggior parte del libro.
I luoghi delle riprese?
Abbiamo girato per 7 settimane tra novembre e dicembre. Ho rinunciato a Tangeri perché la città è cambiata troppo. Ho scelto Rabat, più vicina allo stile orientale dell’epoca. A Morlupo, in un monastero, abbiamo girato alcune scene d’interni. Nel film si alternano stili di montaggio sincopati che richiamano la scrittura di Choukri e altri più dilatati che evocano i ritmi orientali.
In Marocco c’è attesa per il film?
Si. Ma durante le riprese non ho rilasciato interviste: non volevo attirare l’attenzione su un’opera ancora tabù. Il set era blindato. Mentre giravamo nel cimitero siamo stati aggrediti: qualcuno non ha tollerato la presenza di una troupe italiana in un luogo sacro musulmano. Solo alla fine ho incontrato i giornalisti di una tv locale.
Il Marocco ha supportato la produzione?
Ci hanno offerto un grande aiuto logistico grazie a Ben Barka, collaboratore di Pasolini e ex direttore del centro di cinematografia marocchina.
Che messaggio lanci al mondo arabo con “Il pane nudo”?
Solo la conoscenza aiuta a cambiare la propria condizione e a vincere la miseria. L’ignoranza è il terreno più fertile per l’integralismo.
E all’Occidente?
In Occidente circolano solo immagini di violenza provenienti dall’Islam. Il film mostra che i valori della libertà e della democrazia sono presenti nei paesi arabi. Negli anni Novanta l’Algeria ha vissuto l’integralismo, i miei lavori erano visti come una minaccia perché seminavano il dubbio. Tutto questo è accaduto nell’indifferenza occidentale.
Che cosa pensi del cinema italiano?
In Italia c’è una grande paura dell’altro. La chiusura si riflette anche in un cinema troppo ombelicale.
(Le foto del servizio sono di Claudio Martinez)
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