Raoul Bova


R. BovaNello scontro finale tra Alien e Predator, i mostri bavosi nati sull’astronave di Ridley Scott e i guerrieri invisibili mani di forbice, l’uomo è ormai un optional che serve da incubatrice alle creature extraterrestri. Eppure Raoul Bova giura di essersi divertito sul set del mega-fantasy che in America spopola e in Italia arriva in sala il 19 novembre. Il ruolo dell’archeologo che partecipa a una spedizione nell’Artico per riportare alla luce un tempio sommerso dai ghiacci con iscrizioni precolombiane e simboli dell’arte cambogiana ha consolidato la popolarità conquistata a Hollywood con il romantico Under the Tuscan Sun. “Ma non rinuncio a lavorare in Italia e non mi faccio illusioni: a Los Angeles un giorno ti adorano, il giorno dopo non sei nessuno. Bisogna rimanere con i piedi per terra”.

Tra Rodolfo Valentino, che interpreti per Radiodue dall’8 novembre, e l’eroe di “Alien vs Predator” chi preferisci?
Non c’è paragone. Fare Alien non è stato un grande sforzo interpretativo, però mi sono divertito. Stare su quel set è come andare in un parco giochi pieno di mostri ed effetti speciali. Ma noi europei siamo abituati a un cinema più impegnato e impegnativo.

Cosa ti piace dell’America?
Ci sono più possibilità di lavoro, tante storie, tante occasioni… ma mi è piaciuto anche fare il ruolo di un uomo affetto dalla sindrome di Asperger, una malattia che crea difficoltà nei rapporti interpersonali, nel film di Umberto Marino La fiamma sul ghiaccio, un piccolo film finanziato dallo Stato.

I tuoi figli ti considerano ormai un personaggio della playstation?
Non mi piace essere considerato un attore quando sono a casa, lì sono il papà e basta. Anche se al maggiore, che ha cinque anni, i mostri piacciono molto.

Alien vs. PredatorTi piace il genere horror?
Non sono un fan dell’horror e del fantasy, anche se devo dire che il primo Alien mi piacque tantissimo. Ricordo che andai a vederlo da solo, perché i miei non me lo permettevano: sono uscito al primo tempo, avevo troppa paura.

Chi ammiri tra i registi italiani?
Potrei citare Tornatore, Amelio, Bertolucci, Crialese, Ozpetek – con cui ho avuto la fortuna di lavorare – ma ce ne sono tanti altri che non hanno niente da invidiare agli autori di fama internazionale. Cineasti come Fragasso o Soavi sono all’altezza degli americani e hanno forse più inventiva, ma non sono valorizzati come meritano.

Tra gli attori chi preferisci?
Tom Cruise e Brad Pitt: sono nati come sex symbol ma hanno saputo andare avanti e dimostrare bravura e poliedricità.

Lo faresti un musical?
Magari. Garinei mi aspetta sempre per Ciao, Rudy.

Lo sport è stato importante nella tua formazione, vero?
Mi è servito a capire che la fortuna va supportata con il lavoro e le rinunce. Da piccolo nuotavo, facevo le gare e mi facevano sentire un campione: così ero diventato presuntuoso. Poi alla gara decisiva, quella per la qualificazione alle Olimpiadi, ho fatto uno sbaglio e ho perso tutto. È stata una grande sconfitta ma anche una grande lezione.

Quando è che ti senti un alieno?
Forse alle conferenze stampa, dopo dodici anni ancora non ho imparato.

autore
03 Novembre 2004

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