“Che siano passati 40 anni, 15 anni o anche due mesi, la mia carriera sembra la continuazione della scuola. Mi piace pensare di essere sempre alla film school, a realizzare progetti diversi e a scoprire come fare film. È solo che ora il mondo è la mia scuola”.
Parole di un maestro del cinema internazionale, il taiwanese Ang Lee che il 23 ottobre di anni ne festeggerà 70. È il regista che ha saputo portare la sua visione unica del mondo nel cinema, muovendosi con disinvoltura miracolosa tra i generi e le culture, regalando emozioni senza tempo. La sua è una carriera che sfida le definizioni e abbraccia la complessità dell’esperienza umana, un viaggio artistico che continua a sorprendere e incantare.
Ha vinto tre Oscar, quattro BAFTA e tre Golden Globe, conquistando un posto di rilievo nel panorama cinematografico mondiale.
Nato nella contea di Pingtung, Taiwan, studia nel suo paese cercando di assecondare le mire paterne che lo vogliono professore. Ma lui è interessato al teatro e alle arti al college e il colpo di fulmine con il cinema è innescato dalla visione del film di Ingmar Bergman: La fontana della vergine del 1960.
Decide così di trasferirsi negli Stati Uniti per studiare regia, portando così nella sua poetica la tensione tra il radicamento nelle sue origini e l’apertura verso la cultura occidentale.
Il suo film di debutto, Pushing Hands (1992), apre la sua “Trilogia del padre”, esplorando il tema della famiglia, dell’identità e del rapporto tra generazioni. Ma è con Il banchetto di nozze (1993) che Ang Lee cattura per la prima volta l’attenzione internazionale. Conquista l’Orso d’Oro al 43° Festival di Berlino e viene anche nominato come Miglior Film Straniero ai Golden Globe e agli Oscar. Girato negli Stati Uniti e basato su storie di cinesi americani, conferma la capacità di Lee di esplorare il confine tra culture diverse.
Nel 1994, Lee torna a Taiwan per girare Mangiare, bere, uomo, donna, un ritratto intenso dei conflitti familiari e delle relazioni moderne a Taipei. Il film è un successo al botteghino e acclamato dalla critica, ricevendo per il secondo anno consecutivo la nomination agli Oscar, ai Golden Globe e ai BAFTA come Miglior Film Straniero. La pellicola vince cinque premi, tra cui il prestigioso riconoscimento di Miglior Regista agli Independent Spirit Awards.
La sua capacità di raccontare storie che mettono in scena l’incontro e lo scontro tra mondi, tradizioni e valori diverge già da qui, in questo racconto ironico e delicato di una famiglia taiwanese che affronta la complessità della cultura occidentale.
Dopo il successo di Mangiare, bere, uomo, donna (1994), Lee sorprende il mondo con un salto verso il classicismo letterario.
Ragione e sentimento (1995) è una meraviglia visiva, un’elegante trasposizione del romanzo di Jane Austen che dimostra come Lee sappia immergersi con pari sensibilità nei costumi inglesi del XIX secolo come nella contemporaneità asiatica.
Ang Lee ottiene il suo secondo Orso d’Oro al Festival di Berlino e sette nomination agli Oscar e il premio per la Miglior Sceneggiatura Non Originale, vinto da Emma Thompson. Thompson ricorda come Lee, alla sua prima esperienza in inglese, fosse sorpreso dalle domande e dei suggerimenti degli attori, un aspetto insolito nella cultura del suo Paese. Ma una volta trovato l’equilibrio, il loro lavoro insieme diventa “divertente e stimolante”, con le note di Lee alla sceneggiatura descritte come “brutali e divertenti”.
Dopo il successo di Ragione e sentimento, Lee prosegue la sua carriera a Hollywood con Tempesta di ghiaccio (1997), un ritratto della crisi morale nell’America suburbana degli anni ’70. Presentato a Cannes, il film vince il premio per la Miglior Sceneggiatura e viene elogiato per la sua capacità di mescolare farsa, dramma e tragedia, grazie anche a un cast perfetto.
Tuttavia, con Cavalcando col diavolo (1999), un western ambientato durante la Guerra Civile americana, Lee affronta una battuta d’arresto: il film non convince né il pubblico né la critica e si rivela un fiasco al botteghino. Ma un flop non è che un buco nell’acqua, non può certo erodere la sua capacità di ambire in grande.
E così nel 2000, Lee realizza uno dei suoi sogni d’infanzia con La tigre e il dragone, un “wuxia” ambientato nell’antica Cina. Il film, con Chow Yun-fat, Michelle Yeoh e Zhang Ziyi, diventa un fenomeno globale. Questo film, con le sue coreografie quasi eteree e la sua profonda malinconia, porta il cinema asiatico a un pubblico internazionale come mai prima di allora. È il film straniero con il maggior incasso in molti paesi. La critica elogia l’epica romantica e le spettacolari sequenze d’azione.
L’Academy Awards continua a testimoniargli il suo amore e lo candida a 10 oscar.
Ne vince quattro, tra cui Miglior Film Straniero.
Negli anni successivi, Lee si avventura in territori sempre più sfidanti. Brokeback Mountain (2005) è una delle sue opere più potenti e intime, una storia d’amore impossibile e dolorosa tra due cowboy che sfida le convenzioni di genere e di rappresentazione. Lee sa raccontare la fragilità umana con una delicatezza e una compassione che trapassa lo schermo, regalando al mondo una delle storie d’amore più toccanti e universali del cinema moderno. Il film gli vale il suo primo Oscar come miglior regista, un traguardo storico per un cineasta asiatico.
Con Vita di Pi (2012), Ang Lee porta il cinema ancora oltre, esplorando le frontiere della tecnologia e della narrazione visiva. Utilizzando il 3D con una maestria poetica, Lee racconta una storia che mescola mito, religione e sopravvivenza, creando un’esperienza cinematografica immersiva che spinge i limiti della percezione. Ancora un Oscar per lui che lo consacra come uno dei grandissimi del cinema contemporaneo.
Ang Lee è un narratore che non ha mai smesso di cercare. Con la sua curiosità insaziabile, continua a sfidare sé stesso e il pubblico, come dimostra il suo recente esperimento con Gemini Man (2019), in cui esplora nuove tecnologie di ripresa ad altissima definizione. un thriller d’azione con protagonista un agente della DIA che, prossimo alla pensione, si trova braccato da un giovane clone di sé stesso. Will Smith viene scelto per il ruolo principale, con Clive Owen e Mary Elizabeth Winstead ad affiancarlo come antagonista e protagonista femminile. Il film però non convince: riceve recensioni negative e si rivela un flop al botteghino.
Tra i suoi progetti futuri, Lee ha iniziato a sviluppare un film sul leggendario incontro di boxe tra Joe Frazier e Muhammad Ali, noto come Thrilla in Manila, ma il progetto viene messo in pausa nel 2014 per dare priorità a Billy Lynn – Un giorno da eroe, in cui allestisce la percezione della guerra e della realtà attraverso una lente iperrealista.
Nel 2015, Thrilla in Manila torna in cantiere, con David Oyelowo e Ray Fisher considerati per i ruoli di Frazier e Ali, e Lee esprime il desiderio di girare il film in 3D. Tuttavia, nel 2022, Lee annuncia che il suo prossimo progetto sarà un biopic su Bruce Lee, con suo figlio Mason Lee nel ruolo del leggendario artista marziale.
A 70 anni, Ang Lee è ancora quel visionario che non teme di inoltrarsi nel nuovo e nell’ignoto, rimanendo però sempre fedele alla sua sensibilità profonda e umana. Se un regista è abbastanza fortunato da trovare il successo a Hollywood, è probabile che si attenga a qualsiasi cosa funzioni: sono rari i registi che hanno il talento e il coraggio di provare ad affrontare generi diversi, per non parlare del successo in tutto ciò che fanno. Ci sono naturalmente delle eccezioni alla regola, la più famosa delle quali è Steven Spielberg, che ama le nuove sfide e avventurarsi in territori sconosciuti. Ma Spielberg ha il vantaggio di poter rischiare, essendo probabilmente il regista di maggior successo della sua generazione che può permettersi anche di fallire ogni tanto.
Ed è questo che rende la visione, il coraggio e la temerarietà di Ang Lee così unici, a tanti livelli diversi.
L’esordio al cinema con Totò, i film musicali che fanno genere negli anni ‘60, poi sul set anche con Pietro Germi, Luciano Salce e Duccio Tessari