A due anni dalla sua realizzazione esce in sala il documentario di Raffaele Andreassi su Antonio Ligabue, I lupi dentro (leggi la recensione su CinemaZip), distribuito dall’Istituto Luce. Un piccolo evento, visto che il documentario italiano difficilmente riesce a conquistare visibilità, sul piccolo come sul grande schermo.
Dall’8 giugno il film è ospitato a Roma al “Lucky Blu”. La settimana successiva in altre “piazze” italiane, e dal 19 giugno a Bologna e dintorni.
Con l’autore abbiamo parlato della genesi di questo film.
Andreassi, qual è stato il suo rapporto con Ligabue?
Ligabue l’ho incontrato agli inizi degli anni ’60. Era considerato un vagabondo, un pagliaccio. Soffriva molto perché era poverissimo. All’epoca realizzai un primo documentario su di lui, Lo specchio, la tigre, la pianura. In seguito ho raccontato la sua infelicità in Antonio Ligabue, pittore, prodotto da Carlo Ponti.
C’è qualche episodio nella vita di questi che spieghi il suo strano comportamento da adulto?
Soffriva di una malattia mentale dovuta probabilmente al calcio di un cavallo che prese nel circo in cui lavorava da giovane. Durante la guerra poi, dette una bottigliata a un tedesco e per salvarlo lo rinchiusero in manicomio.
Nel suo film Ligabue, pur nella sua totale semplicità, sembra accorgersi della macchina da presa…
E’ vero, quando si vedeva osservato si comportava come un attore, faceva del teatro. Sapeva di essere Ligabue, e non era completamente sincero.
Molti quadri di Ligabue hanno a che fare con animali feroci. Da dove gli veniva questa conoscenza, visto che non ne aveva mai potuto vedere uno?
So che quando era giovane un suo amico pittore gli mostrò dei libri con animali esotici. Forse perché voleva stimolare la fantasia di Antonio, sperando che diversificasse i soggetti da rappresentare. Comunque era affascinato da quegli animali. Quando venne a Roma, nel 1962, volle a tutti i costi che lo portassi allo zoo. Fu entusiasmante vederlo “parlare” con le tigri…
Nel film la voce narrante, che poi è la sua, parla di cinema verité…
Sì, quando “ricostruivo” la vita di Ligabue con Ligabue stesso lì a rappresentarla lasciavo che le cose andassero per il loro verso, senza rimontare i dialoghi o fare dei tagli. Quello che accadeva è tutto lì sullo schermo.
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