Un nuovo premio, Vento d’Europa, che va a un artista che abbia esaltato l’idea di cultura europea, nasce a Ventotene, nell’ambito della XIX edizione del Festival (25 luglio-2 agosto). “Ricorda i 70 anni del Manifesto di Ventotene lanciato proprio dall’isola delle Pontine dai fondatori del movimento federalista Ernesto Rossi e Altiero Spinelli”, come spiega Loredana Commonara, che dirige una manifestazione preziosa per un luogo dove non c’è una sala cinematografica. Il premio, in questa prima edizione, andrà a Radu Mihaileanu, regista, produttore e sceneggiature romeno, naturalizzato francese, autore di opere molto amate dal pubblico come Train de vie e Il concerto. “Per me – dice il cineasta – è un onore essere il primo a ricevere un premio dedicato a un’idea d’Europa nata nel ’44, in un periodo in cui era difficile immaginare che l’Europa, che allora si faceva la guerra, sarebbe divenuta unita”. L’abbiamo intervistato per Cinecittà News.
Mihaileanu, qual è la sua idea di Europa?
Sono romeno e fiero di esserlo: la Romania è parte dell’Europa e da sempre connessa a paesi come l’Italia e la Francia. Anche recentemente, insieme, abbiamo lottato per l’eccezione culturale. 8.000 artisti hanno firmato una petizione che difende la nostra identità e la nostra diversità. Abbiamo un modo di vivere e una libertà di pensiero che vanno difese.
Nel suo cinema è sempre presente, da “Train de vie” al più recente “La sorgente dell’amore”, un forte senso di integrazione tra popoli ed etnie diverse.
Nei momenti più difficili bisogna restare se stessi, ma la soluzione delle crisi, che siano economiche o d’altro tipo, viene sempre dal dialogo, dall’ascolto dell’altro. Mi piace citare una pagina della Bibbia, anche se non sono religioso, quando Dio dice ad Abramo di salire verso Israele e attraversare il fiume. È il simbolo del movimento che fa parte della vita, l’unire il sé e l’altro. Per contrastare l’estremismo che monta in momenti di difficoltà, bisogna essere ricettivi alla ricchezza dell’altro e non trincerarsi.
Le piace anche mescolare attori di diverse nazionalità.
Forse perché anch’io all’inizio sono stato un attore, per quanto pessimo, so apprezzare quelli bravi ed è vero che mi piace mescolare le lingue e le culture. In Train de vie c’erano sul set 11 nazionalità diverse e non avevano neanche una lingua comune a tutti. Il mio lavoro poi è uniformare tutti questo e far sembrare che queste persone così diverse vengano tutte dallo stesso villaggio.
Come spiega la straordinaria ricchezza del cinema romeno contemporaneo, che nonostante le poche risorse a disposizione è uno dei più creativi e appassionati come dimostrano anche i molti premi, ultimo l’Orso d’oro a Berlino per “Il caso Kerenes”?
Io vivo a Parigi e vedo le cose a distanza, ma naturalmente ho una mia opinione. La vitalità degli artisti romeni è sempre esistita, negli anni ‘70 c’era una scuola teatrale importante quanto quella russa, polacca o britannica, con una grande tradizione di attori e drammaturghi. Il cinema, certo, è stato molto condizionato dalla dittatura, non poteva esprimersi ed è stato naturale che dopo la liberazione esplodesse una generazione di geni che hanno liberato la propria voce. Ogni anno ne escono di nuovi e sono tutti diversi tra loro: Puiu, Mungiu, Porumboiu, Calin Netzer. È un miracolo che facciano film di grande valore con così poco denaro, ma possiamo sperare in qualche cambiamento dopo il colloquio che c’è stato tra il ministro francese e quello romeno proprio per trovare fonti di finanziamento.
Anche il suo nuovo progetto, come i precedenti, sarà una produzione francese?
Sì. Il mio nuovo film sarà girato tra la Tanzania e Los Angeles. È la storia di un avvocato nato e cresciuto nella valle del Rift, il luogo dove è iniziata l’umanità. È portatore della cultura masai, con la sua armonia tra l’uomo e la natura, e si trova a Hollywood che rappresenta l’apogeo della civilizzazione ma anche i rischi che la nostra civiltà corre per la sua accelerazione potenzialmente incontrollabile. Il mio personaggio cercherà di comprendere Los Angeles.
Avrà una chiave tragicomica, come gli altri suoi film?
Certo, per me la vita di tutti i giorni è tragicomica. Guardate l’Italia: non trovate che Ionesco e la commedia dell’arte si uniscano? Il miglior modo di difendersi per non affondare, per restare in piedi nei momenti peggiori, per esempio quando muore una persona cara, è scherzare. Il mio maestro è stato Marco Ferreri, con cui ho lavorato dieci anni, e lui faceva la stessa cosa.
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