Rachid Benhadj


Per 30 anni sceneggiatori di varie nazionalità hanno provato ad adattare per il grande schermo “Il pane nudo” il romanzo dello scrittore marocchino Mohamed Choukri, candidato per due volte al premio Nobel. E’ la storia autobiografica del riscatto da un destino di povertà e fame atavica, di soprusi e sfruttamento nella Tangeri anni ’40 e del dopoguerra, mentre il popolo marocchino è alle prese con la lotta anticolonialista contro spagnoli e francesi. Un romanzo che appena uscì, negli anni ’60, divenne un caso letterario per alcuni dei temi affrontati, dalla omosessualità alla prostituzione, tanto da essere proibito nei paesi arabi.
La sfida con questo romanzo duro e sofferto, scoperto dallo scrittore americano Paul Bowles, è stata ora raccolta dal regista algerino Rachid Banhadj, da tempo trasferitosi a Roma, che ne ha tratto una parabola, a tratti didascalica, sul potere della parola e delle cultura, nel percorso di liberazione del giovane Choukri da un padre padrone e da una vita misera.
Il pane nudo esce il prossimo venerdì in sala a Roma, dopo essere stato presentato fuori concorso al ai Festival di Montreal, di Casablanca, del Cairo, in competizione a quello di Montpellier dove ha vinto il Gran premio del pubblico e al BAFF Film Festival di Busto Arsizio. Prodotto da Gabriele Andreoli per A.E. Media Corporation, il cast de Il pane nudo è composto da Said Taghmaoui, già interprete de L’odio di Kassovitz e, tra gli altri, da Marzia Tedeschi/Sallafa e Daniel Ducruet nei panni di un soldato francese.

Come è stata la collaborazione con lo scrittore?
Per due anni ho lavorato insieme a Choukri sulla sceneggiatura e non è stato facile. Dopo un primo anno speso a conoscersi, finalmente è iniziato un rapporto di scambio, fatto anche di grandi litigate. L’autore s’aspettava di ritrovare nel film tutto il suo libro, ma la sfida era proprio di ricercare una nuova struttura narrativa per il film. Alla fine sono però entrato nel suo cuore: “Io ho scritto il mio libro, tu farai il tuo film”.

Choukri, purtroppo non ha potuto vedere il film realizzato…

E’ morto una settimana prima della fine delle riprese nel dicembre 2003 e ricordo ancora il nostro ultimo incontro: “Salutami tutte le persone che lavorano con te”. Ho capito che mi lasciava un regalo pesante, e così durante la fase finale di lavorazione sentivo molto presente il suo sguardo critico. Spero di non averlo tradito molto, anche se una vita non si può certo raccontarla in un’ora e mezza.

Che cosa ha sacrificato del libro?
Il periodo adolescenziale, quando il protagonista va a lavorare a Orano da un colono francese. Ho ripreso solo la parte della scoperta del sesso. Del resto il libro, a differenza del mio film è molto più duro e violento; già alla terza pagina c’è il racconto dell’omicidio del piccolo figlio da parte del padre. Ho concentrato il mio sguardo sulla prigionia di Choukri, è lì il centro del mio film, ma non del libro.

Un film che parla della società marocchina, ma targato Italia?
E’ importante che questo film sia stato finanziato da un produttore italiano, con il contributo del Ministero in quanto film d’interesse culturale. E’ un segnale importante di apertura, sono così rari, verso il mondo arabo. Nonché verso la diaspora intellettuale araba. Il cinema maghrebino, se non ha aiuti dalla Francia o altri stati europei, non esiste. Certo dovrebbero essere i Paesi d’origine a finanziare il loro cinema, mi auguro almeno che il film esca in Algeria e Marocco. Il terrorismo trova terreno fertile nell’ignoranza, per sconfiggerlo è importante realizzare in gran parte del mondo arabo e maghrebino un’apertura culturale, a cominciare da film come questo. Mettendo da parte qualsiasi velleità di esportare la democrazia nel mondo arabo con le armi.

E’ il quinto film insieme al musicista algerino Safy Boutella.

Abbiamo lavorato sulla musica araba degli anni ’50, contaminata da quella americana. Safy compone le musiche di tanti cantanti maghrebini, e ha la capacità di lavorare su entrambi i versanti musicali: orientale e occidentale.

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