Esce il 6 ottobre con 01 Quasi orfano, diretto da Umberto Carteni, con Riccardo Scamarcio, Vittoria Puccini, Antonio Gerardi, Grazia Schiavo, Adriano Pappalardo, Nunzia Schiano, Bebo Storti, Chiara Di Benedetto, Manuela Zero, Paolo Sassanelli, Ema Stokholma e Antonio Aiello.
E’ la storia di Valentino e Costanza, che hanno fondato una griffe di grande successo nell’ambiente del design. È grazie a Costanza se Valentino è riuscito a emergere e a farsi dei contatti nel jet set milanese. Il giovane ha talento, ma ancor di più affascina la sua drammatica storia, quella del ragazzo rimasto senza una famiglia sin dall’infanzia. In verità, Valentino che di cognome fa Tarocco, ha cambiato cognome e ha pian piano rotto ogni legame con i suoi familiari, per poi affermare di essere orfano.
La sua famiglia, che vive in Puglia, è molto numerosa ed è proprietaria di un agriturismo, famigerato per avere la votazione più bassa su TripAdvisor. Quando si sta per avvicinare il compleanno della madre di Valentino, suo fratello Nicola prova a mettersi in contatto con lui nella vana speranza di ricevere un aiuto economico da parte sua, così da risollevare le sorti della famiglia e soprattutto dell’attività, destinata altrimenti al fallimento.
“La prima cosa che ti fanno notare quando fai l’attore – dice Scamarcio – è la dizione. Questo è un primo passo a volte spersonalizzante. Eppure le mie origini ‘resistevano’ rispetto a questa necessità di prendere le distanze. Alcune dinamiche riguardano lo scarto tra città e provincia, più che tra Nord e Sud. Milano è a Sud dell’Europa quindi il Sud è ovunque, mentre si nota la differenza tra grandi e piccoli centri urbani. E proprio quella mia parte provinciale era un motore energetico identitario da cui la mia carriera di attore traeva vantaggio. La chiave di lettura me l’hanno data i grandi maestri: Carmelo Bene, Pasolini, gente che in maniera molto sofisticata ci ha regalato la lettura dell’identità, di cosa sia un essere umano, che viene prima delle maschere e di tutto il resto”.
Il film è un remake di una commedia francese, ormai un’abitudine comune nel nostro cinema.
“Lo Stato francese – continua Scamarcio a proposito – tutela gli esercenti e così le associazioni di categoria che hanno messo paletti alle multinazionali, questo fa sì che in Francia il motore sia forte. La gente in Francia va al cinema. I remake si sono sempre fatti, certo prima erano gli americani a rifare i nostri film, ora il contrario. Come produttori dovremmo interrogarci, anche io sono un produttore ma un po’ vigliacco, non mi sono iscritto a nessuna associazione di categoria, per quieto vivere. Credo che il cinema non morirà mai- Le piattaforme funzioneranno se ci sono dei bei film sopra. Se è solo intrattenimento, la cosa si ferma lì. Il cinema è vivere un’esperienza umana, e non solo perdere del tempo”.
Carteni commenta: “questa storia è particolarmente attinente a quello che succede in Italia. Rispetto all’originale forse abbiamo concentrato più l’attenzione sulle coppie, sui loro conflitti, restando in un ambito ‘realistico’, senza cercare la farsa a tutti i costi. Le differenze vengono spesso viste come un effetto negativo ma in realtà si trattai di ricchezza: culturale, linguistica, paesaggistica, non è un male fare un remake di una storia che ci riguarda da vicino. Andare in sala con una commedia è oggi una responsabilità: a casa c’è tanta offerta e dobbiamo motivare la gente a venire a vederla al cinema. Ma quando si diventa industriali c’è il rischio che si perda l’aspetto culturale. Ci abbiamo creduto e speriamo, facendo i debiti scongiuri, che funzioni. E’ una storia di ritrovamento delle radici, Milano ha subito tanti cambiamenti, ma forse se c’è una critica è rivolta proprio alla tendenza a dimenticarci delle nostre radici”.
“Mi divertiva l’ironia esasperata di questo contrasto Nord/Sud – dichiara Vittoria Puccini – ma nonostante l’estremizzazione c’è una base di verità. Prendersi un po’ in giro fa sempre bene. Di Costanza mi piaceva l’evoluzione all’interno della storia, viene completamente ribaltata: parte da milanese borghese concentrata sul lavoro, che insegue un processo professionale che l’ha allontanata da una sua identità e dal rapporto di coppia. Non si parlano più, non sanno più chi sono, nemmeno gli interessa saperlo. Ma nel rapporto con la famiglia pugliese ritrova passione col marito e la voglia di essere amata per ciò che è e non per ciò che rappresenta. Per Costanza l’arrivo della famiglia di Valentino è uno shock: per lei sono alieni, non è curiosa del diverso, lei si chiude a riccio, si concentra sulla professione e basta, non si sa guardare intorno, e non è in grado di farsi contaminare. Quello che mi interessava era vedere come questi mondi riuscissero in qualche modo a parlarsi, e come Costanza imparasse nuovamente ad ascoltarsi, a portare avanti la coppia, e a mordere nuovamente la vita”.
“Nel senso migliore del termine – prosegue Scamarcio – è un film nazional popolare. I temi sono attuali: quanto siamo disposti a cambiare per raggiungere il successo. Tutto è in chiave leggera e in maniera intelligente, mettendo in luce i paradossi che l’Italia ha prodotto: sono più emancipate le donne al Sud che quelle al Centro e al Nord. Invece ho sempre pensato che non fosse vero. La società del Sud è sostanzialmente matriarcale. Le donne comandano, non perdendo la loro femminilità. E’ un valore importante che l’Italia produce anche più di altri paesi. Nelle città, con tutti quei palazzi, l’uomo è schiacciato. Al Sud sono gli uomini essere al centro e non la città. Ma quando emerge il vero Valentino, per me è stata una liberazione, mi sono lanciato cercando di restituire un certo spirito pugliese, come lo rappresenta ad esempio Checco Zalone. Per un pugliese esiste solo la Puglia, venire a contatto con l’esterno è come venire a contatto con gli extraterrestri. Non ci possono essere altre opzioni”.
Lo conferma anche Antonio Gerardi: “al Sud l’uomo è il capo, ma la donna è il collo”.
Nunzia Schiano, giunta in ritardo a causa di un blocco dei treni, commenta il tema della fama negativa, ispirato dalla trama del film: “a volte è utile essere famigerati. Il nostro mestiere comprende delle distonie, l’essere umano ha mille sfaccettature, quindi c’è una certa libertà anche nella gestione. Dopotutto preferisco essere famigerata”.
Grazia Schiavo insiste sul punto: “E’ caos, ma è anche interessante. Essere famigerati nel lavoro significa portare in campo parti dimenticate, che ci fanno uscire dalla paura. A volte sono le nostre radici, non dobbiamo vergognarci. Siamo esseri umani a tutto tondo, sono elementi potenti, hanno a che fare con l’inconscio. Nel film portiamo questo aspetto istintuale. Il sé ideale è patologico e non risponde a sovrastrutture. Poter cambiare, come attori, ci permette di accedere a parti dimenticate”.
Anche Scamarcio e Puccini concordano: “ogni tanto ci piace sentirci famigerati”.
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