Quanto valgono i festival?


TORINO. Undici i festival medio-piccoli campionati – Arcipelago, Courmayeur Noir, Far East, Future Film Festival, Lecce-Festival del cinema europeo, Ischia Film Festival, Pesaro film festival, RIFF, Trieste-Maremetraggio, Umbria Film Festival e Taormina – attraverso interviste per comprendere la realtà e la potenzialità dei festival cinematografici in Italia. Si tratta della ricerca I festival come ‘valore’ economico e culturale promossa dalla IULM (Libera Università di Lingue e Comunicazione) di Milano in accordo con l’AFIC (Federazione dei festival italiani di cinema) con l’apporto dell’istituto di ricerca di mercato Makno.
I risultati definitivi della ricerca saranno resi pubblici a febbraio, nel frattempo a margine del TFF vengono presentati i primi numeri dello studio che analizza investimenti e ricaduta sul territorio dei festival di cinema considerati.

 

“Il Paese tratta la cultura e gli investimenti ad essa collegati come un vuoto a perdere. L’idea che sta all’origine di questa indagine – spiega Gianni Canova, preside della Facoltà di Comunicazione della IULM – consiste nell’individuazione di elementi oggettivi per valutare se e come i festival cinematografici abbiano un ruolo effettivo nella moderna economia della cultura”. E una prima risposta positiva arriva da questo dato: 1 euro investito nei festival di cinema genera 2,6 €, valore elevato se si considera che in genere il moltiplicatore per opere infrastrutturali decennali è di 2,7 €.
4 mln e 300mila sono le spese complessive sostenute nell’ultima edizione dagli 11 festival considerati, il 15% di gestione e il restante 85% di comunicazione. I finanziamenti provengono per il 69% da contributi pubblici, il 20% da sponsor privati, il restante 11% da biglietti, merchandising ed eventi correlati.

 

La spesa “turistica” complessiva legata alla partecipazione ai Festival risulta pari a 10,9 milioni di euro (4,1 mln. per l’alloggio, 5,1 mln. per la ristorazione e 1,7 mln. di altre spese) e l’occupazione attivata è pari a 270 unità di lavoro/anno. I dati evidenziano poi un pubblico giovane, colto, che si fidelizza e si muove. Infatti gli spettatori sono così ripartiti per classi d’età: 60% dai 18 ai 35 anni, il 15% dai 36 ai 45 e il 25% dai 46 a oltre i 60 anni; per titolo di studio sono invece così distribuiti: post laurea 13,2%, laurea 44,3%, licenza scuola media superiore 35%, licenza scuola media inferiore 6,4%. Quanto al numero di giornate trascorse al festival, il 52% da 1/3 giorni, il 31% 4/6 giorni e il 17% da 7 a più giorni.

Quattro i tipi di spettatori individuati: occasionali (21%); neofiti partecipanti (20%) “non pratici” ma intenzionati a perdere ben poco dell’offerta del festival; habitué (37%) cioé ospiti fissi di tali kermesse; cine-mad/matti per il cinema (22%) che hanno assistito a più di due edizioni del festival.

 

L’obiettivo finale della ricerca per il direttore generale di Makno Mario Abis “resta quello di dirci quante vale la cultura e in che forme essa possa rappresentare un buon investimento sia per i privati che per le istituzioni”.
Cesare Vaciago, City manager della città di Torino, è convinto che sia necessario innanzitutto costruire l’economia dell’evento che della cultura.
Infine dal presidente dell’AFIC Giorgio Gosetti l’invito ai festival perché “assumano una fisionomia imprenditoriale nel senso migliore del termine, superando una certa dose d’improvvisazione, e si aprano a verifiche oggettive per migliorare la propria capacità di offerta e di sostegno all’economia territoriale”.

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01 Dicembre 2011

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