C’è un paradosso aritmetico in questi David 2012, se è vero che Cesare deve morire è senza ombra di dubbio il trionfatore di questa edizione, con cinque statuette, mentre This must be the place, che ne ha vinte sei, sembra stare in qualche modo in compagnia degli altri “sconfitti”, in quanto favoriti della vigilia, Nanni Moretti e Marco Tullio Giordana. Ma forse non bisognerebbe ragionare in questi termini e comunque il paradosso è spiegabilissimo. Non solo perché i Taviani hanno portato a casa i David più “pesanti”, quelli al miglior film, alla regia e alla produzione, ma anche per lo straordinario amore che questo piccolo film girato nel carcere di Rebibbia ha suscitato lungo tutto il suo percorso negli spettatori e nel mondo del cinema. E’ il film “preferito” del presidente Napolitano, il film definito stasera da Liliana Cavani, David speciale alla carriera, “modernissimo e straordinario”. Così Paolo Sorrentino appare ai giornalisti nel post premiazione sereno e sorridente: “Quest’anno c’era una concorrenza agguerritissima e i premi vinti da This must be the place, tra cui la sceneggiatura e le musiche di David Byrne, rendono giustizia all’anima del film, che è un film di scrittura, parla del mondo della musica ed è molto musicale”.
È pacato, il regista napoletano, presto di nuovo al lavoro con Toni Servillo dopo la parentesi americana non ancora conclusa, perché il suo film uscirà negli Usa in agosto, quanto Vittorio Taviani è accorato, quasi tremante, come se davvero non riuscisse a contenere l’emozione di essere salito due volte sul palco, premiato dal vincitore dell’anno scorso Mario Martone e quindi da Sergio Castellitto. Per lui e per suo fratello Vittorio, due registi ottantenni, che avevano già vinto il David alla carriera e ora sono tornati in pista accanto all’ex allievo Moretti, Cesare deve morire resta un film doloroso, legato al dolore dei carcerati che scontano pene lunghissime e hanno il tempo del rimorso e della consapevolezza. Ma è un dolore redento dall’arte, come hanno detto e ripetuto i due autori toscani. Paolo, con le sue parole, ci fa immaginare i detenuti-attori che davanti alla tv aspettavano la notizia di un premio che acquista un valore più che mai simbolico. Anche la produttrice Grazia Volpi ricorda i carcerati, cuore del difficile e coraggioso, progetto, sottolineando “il grande impegno morale, civile e sociale”, mentre il direttore del penitenziario romano, Carmelo Cantone commenta con gioia e preoccupazione: “Un’ulteriore conferma della forza speciale, etica e sociale, del film. I riflettori cadono sul mondo delle carceri in un momento in cui abbiamo estremo bisogno dell’attenzione e di una seria riflessione della politica sulla funzione dei penitenziari italiani”.
Ma l’impegno serpeggia ovunque nella serata condotta all’Auditorium della Conciliazione da un Tullio Solenghi perennemente a caccia di battute a effetto cadute spesso un po’ nel vuoto. Anche con il documentario di Stefano Savona su Tahrir e con il David a Una separazione di Fahradi, ritirato da Babak Karimi, che vive e lavora in Italia da moltissimi anni e nel film ha il ruolo del magistrato. Anche quello è un film premiato a Berlino con l’Orso d’oro e, curiosamente, distribuito proprio dalla Sacher di Nanni Moretti, che ha portato nelle sale anche Cesare deve morire. Nanni sale sul palco per ritirare il David andato a Michel Piccoli, che è al lavoro in Belgio. Il futuro presidente della giuria di Cannes è più che mai stringato nel ringraziamento di rito. Era tra i favoriti della vigilia, come Marco Tullio Giordana, ma nel caso di Romanzo di una strage i premi a Pierfrancesco Favino e Michela Cescon suonano come un apprezzamento forte per aver riaperto il caso Pinelli e vanno proprio agli attori che interpretano, egregiamente, l’anarchico volato dalla finestra della questura di Milano e la sua indomita moglie Licia.
Colpisce anche la forte presenza di stranieri tra i vincitori. Ma, dice Favino, siamo sempre meno provinciali nelle storie che raccontiamo e poi Michel Piccoli è un attore del mondo. Quanto a Zhao Tao sembrava quasi italiana, una vera immigrata, nel poetico film di Andrea Segre, dove interpreta con finezza una lavoratrice quasi schiava, invece in Cina è piuttosto famosa ed è la moglie di uno degli autori più celebrati dai festival, ovvero Jia Zhang-ke. Del cinema italiano, comunque, stavolta tutti dicono bene, nonostante i venti di crisi. Ma il montatore Roberto Perpignani chiede a gran voce una legge contro la pirateria, ancora Favino dedica il premio a quelli che vanno al cinema e non scaricano illegalmente i film e Francesco Bruni, il miglior esordiente, chiosa con una punta di sarcasmo: “Il cinema italiano gode di ottima salute, è il pubblico che non sta molto bene”.
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