TORINO – Un documentario costruito sul ricordo. Il cinema di Gregory Fusaro ricorre alla memoria di chi resta per fare della memoria stessa l’essenza del suo racconto filmico, Se il cielo è tradito.
Si ricorda qualcuno che non è più presente nella sua forma carnale, ma che continua a vivere per l’impronta indelebile e vivissima della sua poesia, che s’è saputa infondere tra le Arti, serpeggiando nelle menti e sotto la pelle di chi l’ha respirato, a volte da vicinissimo: lui è Claudio Galuzzi, la cui arte è stata capace di declinarsi non strettamente nella forma letteraria ma contaminando nel profondo cutaneo e spirituale le forme dell’espressione creativa, con una specifica impronta underground. Il documentario racconta la storia di Galuzzi dalle parole della sua raccolta di poesie, La Pianura Dentro.
Gregory, rintraccio due concetti nel film: il ‘ricordo’ e il ‘tradimento’. Qual è la sua personale concezione dei medesimi, e come l’ha declinata per connetterla alla figura di Galuzzi?
Sono in qualche modo collegati. Il ricordo è fondamentale perché io parlo di una persona di cui non c’era più traccia, per cui il ricordo si stava fondamentalmente perdendo, se non nei famigliari e negli amici più stretti. Lui è mancato nel 1998, poco prima dell’esplosione del mondo digitale, e in quegli anni non si usava condividere come facciamo oggi: l’attività artistica e la diffusione erano diverse, non voglio dire ‘migliori’ o ‘peggiori’, ma diverse, quindi non c’era una sua traccia oggettiva, anche le foto sono pochissime; sul concetto di ricordo si basa l’idea di dover raccontare una storia che secondo me bisogna far conoscere alle nuove generazioni, perché quel modello di diffusione culturale comunque rimane valido, a prescindere dal mezzo; cambiano i mezzi di comunicazione ma non cambia l’importanza di avere dei punti di riferimento, che poi sono le persone. Il tradimento è un concetto più vasto, molto presente anche nella sua poetica: ‘se il cielo è tradito’ è un suo verso, e nel mio immaginario lui è stato tradito un po’ dalla vita, perché è mancato a 40 anni, in maniera tragica, in un momento in cui poteva ancora condividere con gli altri il meglio, perché è andato via quando sembrava potesse aprirsi a una distribuzione nazionale più ampia, per cui lui è sicuramente stato tradito dagli eventi. Io, quello che nel mio piccolo cerco di fare, è restituirgli qualcosina e fare in modo che qualcuno in più lo riconosca.
Cosa significava ‘underground’ nelle arti, al tempo in cui Galuzzi viveva e metteva in pratica questo sentire, e cosa significa nell’arte corrente?
Il significato in sé non cambia, purtroppo cambia com’è applicato. È chiaro che negli Anni ’70-’80 quel termine avesse un peso specifico e politico particolare: nell’attività che Claudio faceva, insieme a altri collettivi, c’era anche la militanza politica, loro nelle fabbriche facevano proteste distribuendo volantini in versi, attraverso la poesia diffondevano il malessere del lavoratore; è chiaro che fossero altri tempi e anche l’operaio avesse un altro valore, e lui era anche un operaio, che faceva i suoi viaggi dalla provincia a Milano per lavorare, era un attivista politico, e nell’underground lui ci si è trovato per una questione fisiologica: uno come lui, per forza di cose, una persona acculturata e curiosa, inevitabilmente doveva lavorare cercando di scoprire nuovi talenti e underground era un po’ andare sottoterra a cercare delle cose nascoste per una questione prettamente strutturale; ci sono delle attività artistiche che, non per scelta, si ritrovano nascoste. Oggi è un pochino cambiato il significato, infatti io nel nostro collettivo metto un punto di domanda – Underground? – proprio per metterci un po’ in discussione e per capire in primis se questa parola abbia un termine e se noi se ne faccia davvero parte, in qualche modo. In ogni caso, credo sia una parola importante, che bisogna portare avanti, non tanto per essere alternativi ma per mettere in evidenza realtà artistiche che ci sono e che per qualche ragione si trovano in seconda linea sui media.
Il film ha come volano uno scritto poetico di Claudio Galuzzi, La Pianura Dentro: come ha ‘trasformato’ la poesia in sceneggiatura, cosa ha conservato, a cosa ha rinunciato, cosa ha creato ex novo?
Questo è l’unico libro pubblicato da Claudio, ed è l’unica traccia di sua produzione reale: io ho potuto leggere alcune produzioni inedite, che però non hanno mai preso vita, erano ancora da editare, quindi non sono da considerare come prodotto finito. Io, su La Pianura Dentro ho costruito totalmente l’ossatura del documentario, nel senso che non conoscevo nulla di lui: per lunga parte del montaggio non ho voluto vedere neanche delle fotografie, in accordo con la famiglia, proprio perché avevo la necessità di costruirmi un’immagine di Claudio, per cercare di avvicinarmi il più possibile a quella reale, e l’unico modo che ho trovato erano le parole, attraverso cui piano piano ho cercato di costruire l’immagine, prima nella mia testa e poi per restituirla al di fuori, grazie all’aiuto di chi ho intervistato. Quindi, il lavoro nasce da La Pianura Dentro, attraverso cui ho scoperto l’80% di quello che avrei voluto scoprire.
Tra le testimonianze che corredano il doc c’è qualcosa di inedito o di così intimo da averle permesso di rivelarne un’essenza di Galuzzi fino a quel momento ancora defilata, ma al contempo imprescindibile?
Sicuramente sono emersi degli aspetti fondamentali per alcuni gruppi musicali, perché Claudio è stato tra quelli che ha spinto di più nel cantare in italiano, in quegli anni in cui cantavano praticamente tutti in inglese – anche gli Afterhours, La Crus, e sicuramente lui non lo faceva per una questione di patriottismo, assolutamente no, ma facendo capire agli artisti che dovessero farsi capire dal loro pubblico: non era semplicissimo probabilmente farlo, serviva una personalità di peso per convincere Agnelli o Giovanardi a cambiare lingua; non dico sia stato lui l’unico artefice, ma ha influito in maniera molto importante sulla scelta. Inoltre, ha fatto capire a degli artisti di essere artisti, non solo in ambito musicale: Cristina Donà all’inizio era molto giovane e quindi non ancora consapevole di essere autrice, ma nel suo locale è riuscita a esibirsi e prendere consapevolezza della cosa; poi, penso anche a Marcello Maloberti, che è stato più volte alla Biennale di Venezia, e racconta come andasse nel negozietto di musica a esercitarsi e Claudio lo spronasse. Sicuramente ne è uscita un’immagine di un motivatore fuori dal comune, una di quelle figure che oggi mancano un po’ nella provincia, quelli che spingono i giovani a fare scelte coraggiose, anche rischiose, perché quando ti butti nel mondo dell’Arte non vai di certo incontro a una carriera sicura.
Qual è stato il valore umano aggiunto dell’uomo che lei racconta, capace di parlare senza discriminazioni di sorta alle persone comuni così come a grandi (futuri) intellettuali, uno per tutti Luis Sepúlveda?
Siamo riusciti a trovare un audio, che poi è quello che apre e chiude il documentario, di un’intervista a Sepúlveda: in quelle poche parole si trova tutta l’essenza del personaggio Galuzzi, uno a cui piaceva cazzeggiare ma che riusciva a tirar fuori il meglio delle persone. C’è un pezzo che non ho messo, perché non c’entrava con la narrazione, in cui Sepúlveda non era ancora famoso, anzi piuttosto non ci creda molto, e Claudio che gli dice: ‘guarda che tu nel giro di qualche anno diventerai famosissimo, nemmeno ti immagini in Italia che autore diventerai’, e Sepúlveda gli risponde prendendolo in giro; il concetto è che Galuzzi dice a Sepúlveda ‘guarda che stai per diventare una star internazionale’, e lui che ride perché non ci crede minimamente. Il saper ‘tirar fuori il meglio’ credo sia una delle caratteristiche che mancano in questo periodo, trovare persone che riescano a fare questo: Galluzzi era uno di queste.
Il film passa a SYS, sezione Into The Groove, domenica 3 marzo alle 18, al Cinema Massimo: presente il regista; a seguire LIVE Spiriti Guida di Cristina Donà e Saverio Lanza.
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