PUPI AVATI


Un latinista imbranato e una seduttrice che ha perso la vista nella Bologna degli anni ’20, dove si poteva spedire un figlio a imparare l’ars amandi. Con una storia d’iniziazione sessuale, Pupi Avati torna in scena, dopo la delusione dei Cavalieri che fecero l’impresa. Il debutto, in grande stile, proprio nel capoluogo emiliano. Con l’affollata anteprima cittadina, gli applausi per il cast (Vanessa Incontrada, Neri Marcorè, Sandra Milo, Giancarlo Giannini, Nino D’Angelo, Giulio Bosetti), la cena di gala al Circolo della caccia, dove il tempo si è fermato.
Bologna, “una provincia che non vuole sentirsi tale”, continua a essere croce e delizia per il regista nato nel ’38 e cresciuto dai racconti di una madre affabulatrice che “ogni mattina, davanti alla tazza di tè, ripercorreva le vicende di amici e parenti”. Polpa di tanti film – una trentina in tutto – tra cui La via degli angeli. Per il nuovo presidente di Cinecittà Holding, Il cuore altrove, in uscita venerdì 24 in 130 copie, è una madeleine dolceamara in attesa del più caustico <a href="Rivincita di Natale.

Davvero voleva smettere di fare film?
Sì, il silenzio cupo, malsano, nei confronti dei Cavalieri, che ci era costato due anni di lavoro e molto denaro, ha prodotto in me quasi la determinazione di chiudere con il cinema. Ma questa storia mi ha riconciliato anche con me stesso.

Qual è stato il primo spunto?
Il racconto di questo istituto per ciechi fuori San Ruffillo dove una volta al mese, la domenica, le suore invitavano gli uomini a un tè danzante con le pensionanti. Uno spunto grottesco, alla Ferreri, che mi divertiva e mi ha suggerito questa storia.

Da dove viene il titolo, “Il cuore altrove”?
Ce l’avevo in tasca da almeno 25 anni, ma non sapevo come usarlo. Chi ha il cuore altrove guarda verso qualcosa che il più delle volte non riusciamo a raggiungere, frequenta i sogni e le illusioni, conserva qualcosa dell’adolescenza. Il protagonista è un maschio timido, complessato, uno che canta troppo forte e quindi non riuscirà mai a far parte di un coro. Ma proprio questo fa di lui il mio eroe.

La sua ingenuità ne fa un diverso, ma anche un modello di cristiana virtù, di amore incondizionato…
Il senso del meraviglioso, la fede nei miracoli mi provengono da un cattolicesimo pre-conciliare e contadino. Ma definire Nello Balocchi un semplice mi sembra riduttivo. Ha problemi di comunicazione ma anche una sensibilità e un’acutezza straordinarie.

Leggi le nostre anticipazioni
Avati su “I cavalieri che fecero l’impresa”

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21 Gennaio 2003

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