Il concetto di psicomagia nasce quando lo scrittore, drammaturgo e cineasta Alejandro Jodorowsky negli anni 60 entra in contatto con una guaritrice messicana, Paquita. Vede in lei un modo di agire analogo a quello surrealista, che segue e ama. I metodi che Paquita utilizza per guarire i suoi “pazienti” non hanno alcun valore dal punto di vista della medicina tradizionale, ma la “forza” che li pervade è tale da portare spesso il “paziente” a reagire, a intraprendere egli stesso la strada per una guarigione, per ritrovare una forza positiva dentro di sé oppure, paradossalmente, per un’accettazione serena della malattia.
L’8 maggio esce in sala il film Ritual, opera prima di Giulia Brazziale e Luca Immesi, una sorta di thriller psicologico che riprende il tema caro al maestro cileno, ispirandosi liberamente al suo testo ‘La danza della realtà’. E lui ha apprezzato, definendo la pellicola ‘terapeutica’ e comparendo in un ruolo. La psicomagia, secondo Jodorowsky, cura le ferite psicologiche di un individuo, liberandolo dai traumi emotivi passati. Si basa sulla teoria che per risolvere un problema non basta identificarlo, non serve soloesserne consapevoli, ma che, compiendo determinate azioni, si possa parlare direttamente all’ inconscio, superando e vincendo le censure e le resistenze della parte conscia. L’atto psicomagico diventa il mezzo per trasformare la consapevolezza conscia in un comando dato alla parte subcosciente, perché solo la “collaborazione” dell’inconscio può guarire i nostri blocchi psichici e scardinare le abitudini e gli automatismi.
Al pari dello sciamano, lo psicomago/a prescrive un rito che usa un linguaggio simbolico per comunicare direttamente con la nostra parte irrazionale. Sostanzialmente, il terapeuta fa compiere un’azione precisa – a forte connotazione emotiva e simbolica – senza per questo assumere la tutela o diventare la guida del soggetto per lunghi periodi (come avviene in psicoterapia). Gli atti psicomagici sono atti paradossali che possono scuotere l’immobilità patologica e compulsiva di cui siamo prigionieri, determinando una rottura con gli schemi del passato.
La pellicola si incentra sull’avventura personale della giovane e fragile Lia (Désirée Giorgetti), coinvolta in un rapporto molto passionale con Viktor (Ivan Franek), un sadico e narcisista uomo d’affari. Il loro equilibrio malato viene rotto quando lei rimane incinta e l’uomo le impone di abortire. Gravemente depressa, dopo un tentato suicidio, nell’ultimo disperato tentativo di guarire, Lia lascia Viktor e va a far visita alla zia Agata (Anna Bonasso) nella sua misteriosa villa di campagna del 1700 a Mason, un paese ricco di tradizioni popolari, credenze magiche, leggende e riti. La zia Agata è la guaritrice del villaggio da sempre appassionata di psicomagia e medicina alternativa. Ha imparato ad usare questi metodi di cura dal defunto marito cileno Fernando (interpretato dallo stesso Jodorowsky), che ancora le appare in sogno per consigliarla. Lì, tra ricordi dal passato e inquietanti apparizioni, la zia Agata propone dicurare la nipote con un rito psicomagico jodorowskiano ma Viktor, che ha raggiunto Lia in campagna, completamente scettico, si oppone. “Il film – dicono gli autori – racconta una storia universale, la storia di una donna irrisolta. La struttura è quella di un thriller psicologico di matrice polanskiana. Supervisori alla scrittura sono Jeff Gross, uno degli sceneggiatori di Roman Polanski, Chris Vogler, autore de Il viaggio dell’ eroe e Brad Schreiber di Storytech – Hollywood”. Realizzato con il sostegno di Regione del Veneto – fondo regionale per il cinema e l’audiovisivo.
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