Provincia meccanica


V. Cervi, S. AccorsiCongiunture inattese hanno portato un’opera prima come Provincia meccanica al concorso berlinese, dove passa il 12 febbraio. Lo sa l’autore, Stefano Mordini, che scherza, “forse io non l’avrei prodotto un lavoro così, invece la sceneggiatura, scritta con Silvia Barbiera, è piaciuta subito a tutti”. Alla produttrice Minnie Ferrara, sua complice da tanti anni; agli interpreti, Stefano Accorsi, Valentina Cervi e Ivan Franek (Brucio nel vento); a Giampaolo Letta di Medusa, che ha coprodotto lasciando totale libertà a questa ballata su un amore senza tetto né legge, normalizzato dalla famiglia d’origine e dalle istituzioni. Anche se i servizi sociali descritti dal cineasta non sono quelli dell’Inghilterra di Ken Loach e l’Emilia Romagna che racconta – una città dai paesaggi industriali mozzafiato come Ravenna – è assai poco decifrabile.

“Ho trovato il copione molto forte, con personaggi che già leggendo riuscivo a visualizzare. Poi è stato utilissimo il lavoro di preparazione, per costruire tra me e Valentina una storia ben stratificata, un amore non fatto di sguardi languidi ma concreto”, racconta Stefano Accorsi. Che a Berlino era stato con Le fate ignoranti. “E’ meraviglioso essere in concorso in un festival bellissimo come quello”, aggiunge con entusiasmo. Lo stesso entusiasmo con cui descrive il personaggio di Marco Battaglia, operaio dell’ultima generazione, con una coscienza individualista più che di classe. “E’ un uomo felice, molto innamorato e legato alla sua famiglia che gli dà sicurezza e forza, non segue modelli imposti, per esempio usa la tv per giocare con la playstation. La sua debolezza è non saper stare da solo. E’ un istintivo, uno che reagisce d’impulso. Vive quasi in simbiosi con Silvia”. Silvia è l’anello debole di questa piccola comunità di bambini e animali (in casa, nell’anarchia più totale, vive persino un’iguana): la nonna, borghese e autoritaria, riesce a metterla in crisi, le toglie la figlia maggiore. “Silvia – riflette Valentina Cervi – è in conflitto con se stessa. Vorrebbe staccarsi violentemente dall’immagine che sua madre ha proiettato su di lei, ma ne dipende ancora”.

E’ quasi una comune, la famiglia alternativa di Marco e Silvia. “Sono nato nel ’68 – dice ancora Mordini – e ho raccontato il ’77 in un documentario su Andrea Pazienza. Molti testimoni di quegli anni mi hanno detto che solo ora si cominciavano a raccogliere i frutti della ribellione e credo che il film parli proprio di quella libertà, sul saper compiere un viaggio senza una meta”. Esordiente con solide esperienze nel documentario, Mordini non si sente tuttavia un estremista: “il cinema italiano ha dimostrato che lo stile degli esordienti è altro, basta guardare Private di Saverio Costanzo per capire che anche sul piano narrativo stanno cambiando molte cose”.

autore
07 Febbraio 2005

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