Produttori sulla strada del ‘grande cinema europeo’

E’ introdotto da Chiara Sbarigia, presidente di APA e Cinecittà, l’appuntamento di oggi con i “Dialoghi sul futuro del cinema” organizzati al MAXXI durante la Festa del Cinema di Roma, promossi da Fondazione Cinema per Roma e ANICA, in collaborazione con Cinecittà Spa e SIAE.

I produttori dialogano sul cinema proiettato verso l'Europa

Oggi si analizza specificamente il punto di vista produttori europei.

“Può esistere un cinema europeo capace di conquistare il pubblico italiano ed europeo?” è la domanda che fa da base al convegno.

“Questi dialoghi sono stati un’occasione importante di confronto – dice Sbarigia – che come ci dimostrano le ultime notizie è necessario. Abbiamo qui grandissimi produttori, e questo tema è quello che si impone alle nostre imprese a un momento di svolta. O si va verso un grande cinema europeo o si rischia di restare indietro in una dimensione non più adatta alle imprese qui rappresentate. E’ in parte un discorso editoriale, perché tante culture diverse hanno esigenze diverse ma anche tanti punti in comune. E naturalmente è anche una questione di budget e qualità”.

Il line up prevede appuntamenti con imprenditori digitali, produttori, sceneggiatrici e registi, attrici e registe, critici e giornalisti cinematografici della stampa quotidiana, esercenti e distributori, coinvolti in conversazioni coordinate da voci provenienti da mondi diversi. In questa seconda edizione la riflessione cerca una contaminazione tra voci note e soggetti e sguardi nuovi, con un obiettivo dichiarato: parlare con gli operatori e i professionisti del pubblico a cui il cinema e l’audiovisivo oggi si rivolgono, in Italia e in Europa. E’ un’occasione per raccogliere i differenti punti di vista di protagonisti dell’industria contemporanea che si interrogano sui medesimi temi, in un anno in cui si sono visti molti cambiamenti, sono emersi conflitti, si sono cercate soluzioni, si è confermata la consapevolezza di un’industria che è e rimarrà globale.

Coordina Simone Gattoni.

Dichiara Benedetto Habib di Indiana Production: “Quando un produttore si mette in atto non pensa tanto al pubblico europeo, tende a rivolgersi al suo pubblico. E’ chiaro però poi che quando riesci nel tuo rapporto con il pubblico a trasmettere messaggi che vanno al di là di questo allora il tutto diventa internazionale, ma si parte sempre dal proprio mondo. Il cinema americano è l’industria cinematografica per definizione. Il mondo da cui tutti partiamo e di cui siamo imbevuti, e oggi sappiamo che i contenuti possono girare molto di più, ma paradossalmente i casi di grande successo, come Montalbano e Gomorra, sono girati in dialetto stretto e non pensati particolarmente per l’Europa. Non è solo un discorso di cineclub, ci vogliono eventi come Oppenheimer, che pur durando tre ore è stato un successo enorme e ha portato tutti a parlare di fisica. Pensiamo però a quando abbiamo fatto Il capitale umano, il romanzo si ambientava a New York, noi lo abbiamo trasposto a Milano. Poi abbiamo venduto i diritti ed è arrivata la versione americana, che funzionava anche meno di quella di Virzì”.

Jaime Ondarza di Fremantle commenta: “Sulla serialità c’è sempre un committente che ha già indagato sul pubblico, al cinema è diverso. Gli americani studiano il pubblico più di noi, e di conseguenza la concorrenza con i film americani è sproporzionata. Per noi diventa sacrosanto l’aiuto pubblico. Abbiamo bisogno di investire molto come Europa e bisogna spingere la cultura in generale. Ma oltre a questo una cosa che non dovrebbe mancare mai nelle nostre discussioni è la qualità. I talenti non ci mancano ma bisogna lavorare di più su grandi storie”.

Fa seguito Jerome Seydoux di Pathé Film: “esiste un pubblico europeo per i film ma bisogna saper fare film per un pubblico europeo. Siamo dei piccoli nani rispetto ai grandi Studio americani che hanno i soldi e i mezzi per fare dei kolossal. Oggi contano le sale, che siano confortevoli e abbiano schermi in IMAX, e chiaramente sono sale pensate soprattutto per i film americani. Oggi sette su dieci film che vanno bene sono americani, prima dei duemila erano europei. Oggi è la televisione che impone le sue regole, ma le televisioni locali sono piccole e non capiscono la situazione. Bisogna tornare alle idee del passato, far sì che gli attori italiani siano conosciuti in Francia e vice versa, come nel passato. I francesi oggi non conoscono gli attori italiani e gli attori italiani non conoscono i francesi. Inoltre considero radicalmente diversi il cinema e le serie, sul cinema il rischio è sempre maggiore, non si può fare cinema senza rischi, mentre per le serie funziona tutto in maniera completamente diversa”.

Seydoux parla perfino di Intelligenze Artificiali: “potrebbero permettere agli attori di parlare in un’altra lingua in maniera più naturale. Come ne Il gattopardo, dove il suono era messo in post-produzione, e dunque esistevano una versione italiana e una francese che erano egualmente originali. Questo potrebbe aiutare a superare certi confini”.

Così infine Riccardo Tozzi di Cattleya: “i pubblici si sono avvicinati, anche grazie alle piattaforme e alla pandemia, che hanno visto il pubblico accostarsi a serie straniere con i sottotitoli in maniera inimmaginabile. Non avremmo mai pensato qualche anno fa di apprezzare serie israeliane, coreane, scandinave. Il paradosso è che pirateria e piattaforme sono riuscite a insegnare l’inglese ai ragazzi meglio della scuola. Il pubblico europeo esiste ma forse non lo stiamo raggiungendo. Ma non possiamo più giocare la partita delle grandi sale né quella delle piattaforme, arriviamo tardi. Piuttosto abbiamo dalla nostra il cinema dell’umano, ovvero quello che è attento ai temi in cui la gente si riconosce”.

Si parla anche di giovani, di come avvicinarli alla sala, non necessariamente avvicinandosi ad altre forme di comunicazione audiovisiva ma facendo tornare il cinema di moda, con la sala al centro, ad esempio offrendo tessere a costi bassi o crediti formativi per chi sceglie il cinema piuttosto che la piattaforma.

Emerge forte anche il problema della scrittura, che spesso manca di qualità o comunque fatica a rendersi internazionale.

“Mi piace il glocal – dice ancora Tozzi – se il tema è giusto, anche se parli della tua realtà locale, la storia funziona ovunque, ed è proprio su quel tipo di riconoscimento che si dovrebbe lavorare. Pavese lavorava tantissimo sulla selezione dei soggetti. Bisogna dire tanti no. Per lui esisteva “l’idea racconto”, cioè quell’idea che permette automaticamente lo sviluppo della storia”.

Chiude il presidente ANICA Francesco Rutelli: “il signor Pathé aveva commissionato allo psichiatra Édouard Toulouse un sistema neurologico basato su aghi per poter testare le reazioni del pubblico… in questo si può dire certamente che la Francia sia molto avanti!”

Andrea Guglielmino
23 Ottobre 2023

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