LOCARNO – 24 mani tutte under 30 (dai 17 ai 25 anni) firmano regia, fotografia e suono di Procida, che nel 2022 è stata Capitale della Cultura, e così occasione per 12 giovani di incontrarsi sull’isola durante l’Atelier di Cinema del Reale. Con la direzione e supervisione di Leonardo Di Costanzo – direttore pedagogico e artistico dell’Atelier, che qui abbiamo intervistato – il film arriva fino a Locarno, e debutta Fuori Concorso: tra Cecilia Catani, Giorgia Ciraolo, Enrica Daniele, Valentina Esposito, Dario Fusco, Angela Giordano, Simone Grieco, Rebecca Gugliara, Ernesto Raimondi, Giorgia Ricciardiello, Nina Rossano, Lucia Senatore – questi gli autori del doc – alcuni non avevano mai usato una telecamera, altrettanti non erano mai stati a Procida.
Procida è, dunque, l’espressione filmica di un doppio desiderio, quello di raccontare l’isola e, al contempo, quello di interrogarsi sul fare cinema e sulla sua forma espressiva: il confronto e la messa in opera del contenuto hanno impegnato il gruppo del laboratorio per cinque settimane (tra giugno e luglio dello scorso anno), tempo in cui gli allievi si sono fatti parte della comunità e del luogo, incontrando e interrogando i procidani, un popolo pieno di storie di mare e non solo.
Lo scopo dell’Atelier era introdurre alla visione e alla ripresa dello spazio, del territorio, dei luoghi paesaggistici come del quotidiano e dunque del privato, usando la parola come ponte per stabilire l’interazione umana e la macchina da presa come strumento per catturare l’essenza del racconto e restituirla. Procida è dunque sì un’espressione cinematografica, ma prima di tutto un’espressione del capitale umano, quello degli allievi così come quello degli isolani che loro – impegnati in mini-troupe – hanno intervistato e portato dentro le loro sequenze di racconto.
Leonardo, un motto di Procida è: ‘l’isola che non isola’. Sia lo spazio isolano, che il cinema, però, inducono all’introspezione: c’è una connessione, quindi, tra i due concetti, isola e cinema?
Io sono nato su un’isola, quella affianco a Procida, Ischia: quando si sta sull’isola si è un po’ lontani e quindi il mondo ci raggiunge a pezzetti, così noi diventiamo recettori di quello che giunge; per cui, quando ho chiesto ai ragazzi di guardarsi intorno e ascoltare, e dopo questo cercare il modo con cui raccontare quello che cercavano, mettendo dentro se stessi – che significava anche non essere tutti di Procida, quindi dell’isola -, cercando di guardare negli occhi esterni che però dovevano essere resi soggettivi, faceva sì che quello sguardo permettesse di andare oltre il cliché; o meglio, il cliché veniva a quel punto guardato con gli occhi dell’individualità. Il cliché non ci deve far paura: se lo prendiamo di petto ci mangia lo sguardo, ma se ci mettiamo lo sguardo personale, allora il cliché diventa archetipo, quindi immagine viva e non mortifera.
C’è una parola, o un concetto, che possa appartenere tanto al cinema quando all’isola?
Dall’isola immagini il mondo, e il cinema è l’arte che racconta il mondo che non vedi, ma quello che fai immaginare, nel fuori campo.
Per i giovani che si avvicinano all’idea di fare cinema, qual è l’importanza di creare un rapporto con un territorio, quindi con il reale: per cosa è fondamentale per il cinema che dovessero poi intraprendere come mestiere?
In questo caso si tratta di guardare, ascoltare, immaginare e scegliere: poco importa che vogliano fare poi documentario o finzione; l’ascolto e lo sguardo sul mondo sono basilari, a prescindere dal genere.
L’età degli allievi era tra i 17 e i 25 anni, una fascia delicata ma molto viva: in cosa risiede esattamente il loro essere capitale umano?
Nello sguardo immediato e fresco. Quando hai a che fare con questi ragazzi prima devi cercare di destrutturare quello che hanno e che sono, soprattutto perché sono un po’ bombardati dalle immagini: quando però sono così giovani la crosta da destrutturare è meno spessa e, anche se c’è resistenza e ci vuole tempo, però poi esce fuori uno sguardo molto… vergine, incantato; del resto è il cinema stesso a chiederci di tornare a guardare un po’ con gli occhi ‘da bambini’.
C’è stato qualcosa che hanno ‘portato’ di loro, che magari lei non aveva messo in conto, e con cui si è dovuto misurare?
Certo, ci sono stati confronti, perché naturalmente sono individui che raccontano, oltre a provenire da esperienze differenti: alcuni non avevano mai filmato, mai guardato attraverso un obiettivo, mentre altri venivano dalla fotografia o dalla pittura, quindi con un approccio più d’arte contemporanea; si tratta di come mettere a servizio il grado di conoscenza per qualcosa da raccontare, come modularlo. È il momento in cui raggiungono l’individualità che rimani sorpreso e pensi: ‘io non avrei mai filmato in questo modo, come hanno fatto a pensarlo?’.
Lei, come autore, ha assorbito qualcosa dal gruppo e dal progetto di Procida?
Uno fa fatica a razionalizzare immediatamente quello che metabolizza, delle cose emergono ma non lo intuisci subito: se io però continuo a essere interessato al rapporto con queste nuove potenziali creatività è perché di fatto un po’ si ‘ruba’, nel senso buono del termine: mi aiutano a guardare il mondo con occhi differenti.
In che modo più esattamente?
Perché, osservando bene le loro immagini, ciascuno ha un proprio modo, certo l’abitudine mia a leggere certe cose aiuta, però ognuno davvero racconta un modo possibile di guardare il mondo e questo per me è nutrimento. Il mio essere comunque sempre legato anche alla fase di formazione degli altri è anche un po’… egoistico, sempre in senso buono, c’è la curiosità di capire e lo spirito dello scambio.
In qualcuno di loro ha intuito un possibile percorso cinematografico?
Sì, sì ce ne sono 3 o 4.
Cosa ha recepito?
Delle possibilità di sviluppo, anche da come si sono mossi nel momento in cui li ho incontrati, dal tratto di percorso fatto prima, c’è chi ha colto subito e chi ha avuto più bisogno di tempo: non è detto, comunque, che chi ha colto subito farà poi più strada, perché chi ha più resistenza potrebbe sviluppare di più, ma molto dipende da loro.
A parte la presenza a Venezia: dopo Procida, dopo Locarno, qual è il suo prossimo approdo personale?
Sono in scrittura, perché io sono molto lento, ma sto scrivendo il prossimo film, speriamo… perché io anche se sto in mezzo al guado non so mai dire se riuscirò ad arrivare dall’altra parte: io cammino… ma faccio fatica a dire quale sarà l’approdo, perché non so cosa davvero arriverà alla fine.
L’aria non è ferma, quindi. Per parafrasare un suo film.
No no, anzi, è piuttosto in movimento! Scrivo, scrivo ma… prima sarò appunto a Venezia con il progetto di Fare Cinema di Bellocchio.
Il cortometraggio Welcome to Paradise.
È anzitutto un progetto di Marco naturalmente, che quando lui è più occupato chiede a persone che ama di fare al suo posto, e per me è stato infatti un privilegio. È stata un’esperienza formativa.
Pensando anche all’Atelier di Procida, sono due forme di laboratorio.
Sì, ma con due approcci completamente differenti. L’approccio dipende dal quadro in cui le persone agiscono: per Procida si trattava fossero loro direttamente a guardare il mondo e filmarlo; con Fare Cinema, invece, c’è un regista che fa il film e la troupe è formata in buona parte dai ragazzi; per cui loro fanno, ma fanno su un progetto condotto da un altro.
E allora su Procida puntualizzo che lei è direttore non solo artistico ma anche pedagogico.
Sì, e io ci tengo a dire che questo, all’inizio, non era il progetto di un film, ma un momento di formazione, poi alla fine è uscito qualcosa… che il comitato di Locarno ha trovato interessante, dandoci così il massimo della soddisfazione. L’idea era il fare, che loro facessero, poi noi abbiamo messo insieme i pezzi, cercando di trovare un’unità anche nella diversità di sguardo. Mentre a Bobbio partecipano alla lavorazione in modo guidato. Procida è diventato un film collettivo, motivo ulteriore per tenerci, da parte mia, alla definizione ‘pedagogico’.
Il film collettivo – prodotto dalla Regione Campania, co-prodotto da Procida Capitale Italiana della Cultura 2022 e Parallelo 41 Produzioni – a Locarno è anche nominato dalla Direzione Artistica tra i 10 in lizza per il Pardo Verde Ricola, premio assegnato ai film che valorizzano il rapporto tra uomo ed ecosistema, l’ecologia e la sostenibilità.
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