“Una volta erano i comici nazionali e le curve delle attricette a comandare al botteghino, ora cresce l’appetito per il cinema italiano di qualità”. Variety, prestigiosa Bibbia hollywoodiana, si è accorta della “primavera italiana” e ne attribuisce il merito al cinema che “nutre il cervello”. “Film che in passato sarebbero rimasti confinati nella nicchia d’essai e avrebbero a stento raggiunto un incasso di due miliardi – scrive il critico David Rooney – oggi di miliardi ne incassano dieci”.
Un esempio di questa rinascita è L’ultimo bacio di Muccino, che ha già raggiunto i 20 miliardi. Un altro esempio Pane e tulipani, tra i primi indicatori del “crescente gusto italiano per qualcosa di diverso”. E Rooney cita anche I cento passi di Marco Tullio Giordana (più di sei miliardi di incasso), Malèna di Giuseppe Tornatore (quasi 10 miliardi), La stanza del figlio di Nanni Moretti, che ha esordito con un “successo stellare” ed è stato indicato come la migliore apertura al botteghino di questo regista, e Le fate ignoranti di Ferzan Ozpetek che, appena uscito, promette già bene.
Al contrario, scrive ancora “Variety”, registi che un tempo facevano stragi al botteghino oggi vanno maluccio. Francesco Nuti, Carlo Vanzina, Giorgio Panariello, Massimo Ceccherini, Vincenzo Salemme, Leonardo Pieraccioni e perfino Carlo Verdone hanno dato risultati inferiori alle aspettative. Unica eccezione, tra i comici, Aldo Giovanni e Giacomo.
Frattanto mentre persino il mensile patinato GQ segnala la svolta del nostro cinema in un articolo intitolato “Italiani alla riscossa”, “Repubblica” lancia un’inchiesta dal titolo paralizzante, “Italia, provincia di Hollywood. Al cinema passa solo lo straniero”. Un catastrofismo curiosamente dribblato proprio dagli americani.
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