Primavera o autunno del cinema italiano? A leggere i due maggiori quotidiani nazionali, le risposte sono di segno opposto. Nell’incertezza potremmo rispondere che le mezze stagioni non esistono più e che anche per la nostra cinematografia dobbiamo abituarci a imprevedibili fioriture prima del tempo, alternate a improvvise gelate.
Per il Corriere della Sera è infatti sbocciata la “primavera italiana” del cinema: quattro film nazionali tra i primi dieci per incassi nel fine settimana (nell’ordine: Amurri & Fichi d’India, Muccino, Moretti e Ozpetek). La spiegazione? La qualità, qui sta il segreto per vincere l’impari battaglia con la monocultura hollywoodiana (rileva Furio Colombo neodirettore dell’Unità) e non dunque nel gusto medio “tariconiano” del pubblico come vorrebbero i produttori dell’Anica (leggi Fulvio Lucisano). Si tratta in fondo della stessa ricetta suggerita da Silvio Soldini, autore premiato dal successo di Pane e tulipani: “il cinema italiano è fatto di storie e non di star-system, ed è questo che lo fa piacere all’estero”.
Ma intanto la Repubblica lancia un grida d’allarme sull’autunno culturale dell’Italia, ormai ridotta a provincia di Hollywood. La conferma viene dal consuntivo dell’anno 2000: il cinema americano possiede oltre i due terzi della quota di mercato, con un aumento degli incassi pari al 42 per cento a fronte di una diminuzione del 20 per cento per il nostro prodotto; cifre che si ripetono anche per il numero degli spettatori. E l’inchiesta a tutta pagina del quotidiano diretto da Ezio Mauro snocciola altri dati eloquenti: per i film con incasso superiore ai 2 miliardi, il rapporto è di 4 contro 1 a favore di Hollywood, vale a dire su 103 film italiani usciti nelle sale, solo 17 hanno chiuso in pareggio mentre 71 sono statunitensi su 212 distribuiti. Per non parlare della quantità di pellicole importate da oltreoceano, il 49 per cento, mentre le opere prodotte con capitali italiani sono il 20 per cento.
Ma per il ministro dei Beni culturali Giovanna Melandri, intervistata dal Corriere della Sera, vi sono segnali “primaverili” in controtendenza: primo fra tutti quel 22 per cento che rappresenta la quota raddoppiata, rispetto al passato, dei film nazionali sul mercato, segnale di un’industria forte perché produce generi diversi. Certo per arrestare la colonizzazione delle major americane, fatta soprattutto di occupazione abusiva delle sale, con l’escamotage del film di successo distribuito obbligatoriamente insieme a pellicole minori, è necessaria una strategia articolata e il regista Soldini rilancia: perché non destinare una percentuale degli incassi dei film Usa alla promozione e alla distribuzione del “made in Italy”.
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