La memoria è un bene prezioso e purtroppo, quando parliamo di seconda guerra mondiale e di Olocausto, sempre più raro. Per questo motivo non si può che sottolineare l’importanza di progetti come Polański, Horowitz. Hometown, documentario presentato alle 17ma Festa del Cinema di Roma, che ha come protagonisti proprio il grande regista Roman Polański e il fotografo Ryzsard Horowitz, amici d’infanzia e tra i pochi sopravvissuti all’eccidio di ebrei in Polonia.
Sotto la regia dei giovani registi polacchi Mateusz Kudła e Anna Kokoszka-Romer, i due anziani sodali, ritrovatisi dopo anni di incontri fugaci in giro per il mondo, percorrono le strade della città dove sono cresciuti, Cracovia, rievocando le loro vite di allora e raccontando l’esperienza tragica della Shoah.
“A Cracovia, prima della seconda guerra mondiale, più della metà degli abitanti erano di origine ebrea, oggi sono poche centinaia. – spiega Mateusz Kudła – Anche oggi se passeggiate per le strade della città trovate molti segni del passato. Sapevamo che Polanski e Horowitz sarebbero stati perfetti per questo progetto, perché oltre a essere sopravvissuti, sono delle eccellenze nei loro campi. Volevamo che non fosse un’intervista, ma una passeggiata”.
“Da giornalisti, sapevamo che Polanski non sarebbe stato difficile da convincere, ma lo sarebbe stato arrivare a lui. -aggiunge Anna Kokoszka-Romer – L’occasione per contattare Polanski, tramite il suo avvocato, è arrivata in occasione del film su Dreyfus (L’ufficiale e la spia ndr.), che inizialmente avrebbe dovuto essere girato in Polonia”.
Durante il conflitto, Polański, ora 89enne, riuscì a fuggire dal ghetto della città e trovare rifugio da una famiglia non ebrea in campagna. Mentre sua madre moriva nelle camere a gas di Auschwitz, nello stesso campo di concentramento la famiglia Horowitz veniva salvata dall’intervento provvidenziale di Oskar Schindler, raccontato nel celebre film Schindler’s List di Steven Spielberg.
È proprio Polański, con una insospettabile ironia, a ripercorrere i momenti più intensi e tragici di quel periodo storico. Horowitz, più giovane di sette anni rispetto all’amico, funge più da spalla, rievocando il periodo della loro convivenza e dei loro studi artistici e mettendo in discussione la fragile memoria del regista. Sta qui, forse, il senso più profondo di questo film: nella presa di coscienza della precarietà della memoria storica di quegli anni tanto importanti. Sono sempre meno, infatti, i testimoni che erano adulti ai tempi della guerra, tutti gli altri possono fare solo affidamento a ricordi d’infanzia, fallaci per definizione. Lo stesso Polański rivela all’interno del film di non avere mai voluto raccontare in un film la sua vita a Cracovia, come se, ricostruendo quei luoghi artificialmente, rischiasse di perdere definitivamente i ricordi reali di quella esperienza.
Il film, con la sua innegabile portata emotiva e testamentaria, uscirà nelle sale come evento di tre giorni con Vision Distribution, ma solo dopo l’uscita di The Palace, il nuovo lavoro di Roman Polański. A rivelarlo è Luca Barbareschi, produttore di entrambi i film e storico compagno di avventure del regista polacco: “Roman è il più grande artigiano che ho conosciuto nella mia vita, – dichiara – è straordinario come questi ragazzi siano riusciti a fare una cosa difficilissima: fare recitare due monumenti dell’arte, mettendoli a proprio agio e sfruttando tutto il loro talento”.
Elio Germano interpreta Enrico Berlinguer nel film sugli anni più intensi della sua leadership. "Grazie a Paola Malanga e alla Festa del Cinema di Roma che hanno offerto con entusiasmo uno spazio così prestigioso per presentare il film nato da questo incredibile viaggio” ha dichiarato il regista
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