Pirati 4: mare nero


“C’era un uomo che un giorno venne trascinato in mare da una sirena e nessuno ne seppe più nulla”. No, no, ricominciamo. “C’era un corsaro temibile dagli occhi di fuoco che sapeva rendere schiavi i suoi prigionieri trasformandoli in zombi”. No, aspetta, aspetta. “C’era un tizio con una gamba di legno di nome Smith”. E come si chiama l’altra gamba?!?

I nostri nonni leggevano L’Isola del tesoro, i nostri genitori si emozionavano con i film di Errol Flynn, noi abbiamo giocato fino alla nausea sui nostri PC tutti i videogame della serie Monkey Island. E i ragazzi di oggi hanno Pirati dei Caraibi, saga di blockbuster giunta oggi al quarto episodio, che si chiama Oltre i confini del mare ed esce al cinema il 18 maggio. Tutti abbiamo prima a poi cincischiato con le storie di pirati e tutti sappiamo quanto possano essere sconclusionate.
Non fa eccezione questo film, che va goduto spegnendo totalmente il cervello e immaginando di essere attorno al fuoco bevendo rhum, mentre ci si raccontano vicendevolmente, improvvisando piuttosto e anzichenò, strampalate avventure corsare, mescolando verità storica e fantasia, mito e leggenda.

Insomma, c’era una volta il Capitano Jack Sparrow, al secolo Johnny Depp, che torna nei pittoreschi panni che gli sono consoni accompagnato stavolta da una ciurma parzialmente rinnovata: via Orlando Bloom e Keira Knightley – che dichiarano “nessun rimpianto”, ma secondo noi un po’ le mani se le mordono – e dentro Penelope Cruz, sempre sexy nonostante lo stato di gravidanza in cui si trovava durante le riprese, e Ian McShane nel ruolo del nuovo, cattivissimo rivale, il terrificante e famigerato pirata Barbanera. Anche il regista cambia: non più il sofisticato Gore Verbinski ma Rob Marshall, che si è distinto in passato per la sua esperienza con i musical (Nine, Chicago), mentre sono sempre della partita l’immancabile produttore Jerry Bruckheimer e alcuni interpreti recuperati dai passati episodi, come Geoffrey Rush, ancora una volta sotto il turpe cipiglio di Hector Barbossa, e Kevin Mc Nally, il buffo e corpulento mozzo Gibbs. Immancabile, poi, il cameo di Keith Richards, chitarrista dei Rolling Stones a cui Depp si è ispirato per il look del suo personaggio, che non a caso nella finzione filmica è suo padre. A lui è affidata una delle battute più divertenti del film, che si incentra sulla ricerca della fonte dell’eterna giovinezza. “Ho la faccia di uno che l’ha trovata?”, dichiara burbero il decrepito musicista mentre sbevazza allegramente pinte di infimo Grog.

Dopo un primo film ritmato e divertente, ma tutto sommato lineare e fedele ai canoni del genere avventuroso hollywoodiano – La maledizione della prima luna dell’ormai lontano 2003 – la saga si è spinta sempre più “oltre i confini della narrazione”, allungando le durate e proponendo situazioni ai limiti del surreale e dell’assurdo, non sempre adatte a un pubblico di ragazzini. Si pensava dunque che il cambio di squadra e regista, oltre alla scelta di non legarsi all’arco delle pellicole precedenti puntando invece su una nuova avventura, presupponesse anche un radicale mutamento di rotta, tanto per restare in tema marinaro, magari riavvicinandosi alla fanciullesca semplicità del capostipite. Ma, a parte un generale abbassamento del rating e la diminuzione di scene spaventose e violente (occhio però all’attacco delle sirene, tra l’altro una delle sequenze più riuscite), non ci sono stati grossi cambiamenti: tutto sommato abbiamo ancora a che fare con un ‘malloppo’ di anedotti divertenti ma slegati tra loro, con gli ironici duetti di tensione erotica tra il fascinoso Depp e la languida Penelope a farla da padrone, e poi duelli, inseguimenti e qualche lungaggine di troppo.

Niente di grave, dopotutto il film è vicino alla sua ispirazione primaria. Pirati dei Caraibi è, a quanto ci risulta, l’unico serial tratto da un’attrazione di un parco a tema, in questo caso Disneyland. Una ‘dark ride’, per la precisione, evoluzione del tunnel dell’amore in cui a bordo di una piccola barchetta si è introdotti a un percorso in un ambiente buio che favorisce la visione di ‘scenette’ interpretate da sofisticati robot animatroni. Pirati 4 è esattamente così, solo che al posto degli androidi ci sono star di Hollywood e la ‘corsa oscura’ risulta spesso un po’ troppo oscura, complice l’accoppiata infelice di occhialini polarizzati per il 3D – meglio evitare, se potete – e una sovrabbondanza spasmodica di scene in notturna. L’altra fonte di ispirazione dichiarata è il romanzo ‘Mari Stregati’ di Tim Powers, che in originale si chiama On stranger tides, esattamente come il film. Ma chi è cresciuto con questo genere di cinema saprà cogliere anche molte altre citazioni, dal Graal di Indiana Jones e l’Ultima Crociata ai ‘tracobetti’ dei Goonies. Di Marshall si vede la formazione da coreografo: i duelli all’arma bianca sono balletti spettacolari.

I piccoli, stiamone certi, impazziranno. E ai grandi toccherà vuotare i sacchi sotto l’assedio di una cricca colorata di gadget e merchandise: dalla riedizione di ‘Mari Stregati’ – tra l’altro base anche per Monkey Island, che infatti con la serie cinematografica condivide location e personaggi – al videogioco Lego Pirati dei Caraibi, la cui grafica ricorda i celebri mattoncini per le costruzioni, passando per miriadi di pupazzi, magliette e ammennicoli d’ogni forma e colore. Siamo sotto attacco, corpo di mille balene!

autore
17 Maggio 2011

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