“Io non voglio capire, prendere posizione; la guerra è un luogo dell’animo umano buio, contorto”. Pippo Delbono debutta nel cinema con Guerra prodotto dalla milanese (h)films e selezionato da Fabrizio Grosoli per Nuovi Territori di Venezia 60. Un film e una dichiarazione di pace nata in Palestina sulla scia dell’omonimo spettacolo del 44enne “teatrante dell’esodo”, che ha poi imboccato un’imprevista linea di fuga dalla cronaca del conflitto e dalla linearità della narrazione per restituire “la vita segreta che si nasconde dietro ogni ferita”. Da ottobre il neoregista tornerà sul set per un film targato Downtown Pictures.
“Guerra” racconta i conflitti in modo obliquo, slegato dalle cronache. Perché?
All’inizio il film doveva essere il racconto del viaggio in Palestina e Israele della mia compagnia, una strana congregazione di diversità impegnata in una tournée in cui israeliani e palestinesi in conflitto tra loro si ritrovavano in teatro, in uno spettacolo che, in qualche modo, parla anche di loro. Sono tornato in Italia con 50 ore di girato e ho capito che un documentario non avrebbe restituito il senso di quell’esperienza. Così ho scelto di dimenticare il mio io, il mio punto di vista su buoni e cattivi e stare in bilico tra verità e finzione, vita e sogno. Soprattutto ho messo al centro il punto di vista di due diversi: Gianluca, ragazzo dawn, e Bobo, analfabeta e sordomuto, le icone della mia compagnia. La guerra è vista dai loro occhi più innocenti, leggeri e meno ideologici dei nostri. Certo, la loro leggerezza può anche essere rischiosa: ad esempio Gianluca di fronte ad Arafat ha commentato: “Ah, questo è l’uomo che ha buttato le bombe su New York”. Abbiamo rischiato un incidente diplomatico devastante!
Che uso hai fatto della videocamera nel teatro della guerra?
Nelle riprese fatte durante lo spettacolo ho cercato di non disturbare la dimensione rituale. Più in generale non amo fare un uso aggressivo della videocamera, preferisco l’attesa, aspettare che qualcosa accada.
Perché, dopo il teatro, hai voluto raccontare la guerra attraverso il cinema?
Al cinema arrivo dopo anni di passione e appunti presi qua e là con la videocamera. A teatro è necessario lavorare per ricostruire, l’elemento chiave è la ripetizione. L’immagine in movimento offre la possibilità di catturare la verità e la bellezza intesa come vita che pulsa e poi si perde. Comunque, il mio modo di lavorare a teatro è anche cinematografico perché punto sulla forza di immagini poetiche, già in sé esaurienti.
Qualche anticipazione sul tuo lungometraggio prodotto da Marco Müller?
Racconterà l’incontro tra me e Bobo viaggiando, ancora una volta, oltre le categorie di fiction e documentario. Ci siamo conosciuti 7 anni fa al manicomio di Napoli dove lui era rinchiuso da mezzo secolo e io tenevo un seminario. Vivevo un momento difficile: Bobo ha salvato me e io ho salvato lui. All’inizio l’ho quasi rapito poi ha ritrovato la famiglia a lungo scomparsa. Con Lara Fremder ho scritto la sceneggiatura dalla struttura precisa ma elastica ed aperta agli eventi. Cominceremo a girare il 20 ottobre fino alla prima settimana di gennaio tra Genova e il nord della Francia con alcune interruzioni per gli spettacoli.
Bobo che cosa pensa dell’avventura cinematografica?
Bobo non pensa ma ha un grande intuito. Credo che sia contento del nuovo gioco. In modo delicato ma fermo ha già avanzato le sue richieste. Quando qualcosa non gli va a genio lo manifesta con chiari segni di sciopero che possono bloccare tutto.
Stai anche lavorando ad un libro…
Uscirà in Francia a novembre in contemporanea con una tournée francese edito da Actes Sud, nella collana curata da Georges Banu. Mi avevano chiesto di tradurre il mio libro Barboni, uscito in Italia per Ubulibri, ma dal 1999, anno dell’uscita del volume, a oggi sono successe molte cose. Così, insieme alla giornalista Mjriam Bloed lavoro ad una nuova pubblicazione che racconterà un teatro alimentato dalla vita.
Con MaXXXine, in sala con Lucky Red, Ti West conclude la trilogia iniziata con X: A Sexy Horror Story e proseguita con Pearl, confermandosi una delle voci più originali del cinema di genere dell’era Covid e post-Covid
Dove nessuno guarda. Il caso Elisa Claps - La serie ripercorre in 4 episodi una delle più incredibili storie di cronaca italiane: il 13 e 14 novembre su Sky TG24, Sky Crime e Sky Documentaries.
Codice Carla mostra come Carla Fracci (1936-2021) fosse molto più di una ballerina famosa.
Il disegnatore, illustratore e docente presso la Scuola Romana dei Fumetti ci racconta come ha lavorato sugli storyboard dell'ultimo successo di Gabriele Mainetti