Un ambiente claustrofobico, una terra arcaica e sanguinaria, sospesa in un tempo dilatato, fuori dalla storia. E’ la Sardegna mostrata da Piero Sanna, il regista carabiniere, nell’opera prima La destinazione.
Un film che il 60enne di Benetutti (Nuoro), carabiniere dal 1962, da oltre trent’anni residente a Milano, ha realizzato nel tempo libero, tra licenze e permessi. Negli anni Settanta stretto collaboratore del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il filmaker in divisa ha appreso il mestiere del cinema da Ermanno Olmi da cui “ho ereditato la ricerca di veridicità negli ambienti, nelle ricostruzioni nelle riprese di situazioni reali”.
Protagonista di La destinazione è Emilio (Roberto Magnani), ventenne romagnolo griffatissimo, entrato nell’Arma per sfuggire la disoccupazione, che piomba a Coloras, Barbagia, una terra dove le donne portano la “bunnedda” e il fazzoletto sul capo e gli uomini vestono velluto e gambali. Qui la sua relazione con una ragazza del luogo s’intreccia con storie di abigeato, assassini e latitanza.
Sanna firma anche il montaggio e la sceneggiatura scritta con Franco Fraternale e Ezio Alberione che all’anteprima ha sottolineato “l’attitudine postmoderna alla citazione della pellicola con riferimenti a titoli come La sottile linea rossa, Full Metal Jacket e Il giorno della civetta“.
Produttori sono Rai Cinema e la I.C. Sire di Marcello Siena, figura chiave anche nella realizzazione di Arcipelaghi di Giovanni Columbu. Mikado distribuirà 20 copie a partire dal 9 maggio.
Come è nata la passione per il cinema?
E’ nata nelle sale parrocchiali per poi alimentarsi con gli studi alla Scuola Civica di Milano, l’apprendistato con Olmi e la regia di alcuni documentari. L’idea del lungometraggio è arrivata nel corso di un Capodanno di qualche anno fa. Ascoltavo la conversazione di un gruppo di giovani di Orgosolo, tutti studenti in “continente”. Discutevano della vita nell’isola. Alla fine una ragazza ha detto: “Possiamo parlare finchè vogliamo ma alla fine finiamo tutti a lavare i piatti in Costa Smeralda”. Sono partito da lì, dal disagio sociale, dalla disoccupazione che crea tristezza. Il giovane protagonista romagnolo è un pretesto per raccontare la cultura chiusa della Sardegna. Ho sottolineato il suo impatto con una realtà durissima.
Ad alimentare la vita di Coloras sono soprattutto le donne…
Nel mio paese, Benetutti, sopravvive una cultura matriarcale in cui le donne gestiscono tutto e l’uomo osserva. Le figure chiave di La destinazione sono le madri.
Molti attori sono non professionisti e recitano in sardo. Come li ha trovati?
Solo pochi vengono da Benetutti. Lì sono riuscito a coinvolgere solo qualche parente. Forse temevano che raccontassi le faide del passato. Ma ora sono contenti del mio lavoro. Invece la popolazione di Mamoiada, un paese vicino, ha aderito in massa.
Il ruolo dell’Arma?
L’Arma ha dato l’anima per questo film. Dopo qualche perplessità iniziale ha mostrato grande attenzione: alcuni ufficiali hanno controllato tutto il lavoro. La pellicola è anche un ringraziamento ad un’istituzione che mi ha insegnato a vivere.
Eppure proprio in Sardegna i rapporti con le forze dell’ordine sono tutt’altro che distesi. Lei stesso ha lasciato l’isola…
Sarebbe stato troppo difficile fare il carabiniere tra la mia gente. In Sardegna c’è una diffidenza quasi innata per l’autorità costituita. Così ho preferito lavorare svincolato da qualunque condizionamento.
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