Piccoli robot in mondo ecofuturista


In un futuro non troppo lontano, lo studioso di robotica Alex cerca un modello umano per portare a termine un ambizioso progetto che ha lasciato in sospeso anni prima: la costruzione di un robot dalle sembianze di bambino che sia totalmente libero di esprimere le sue emozioni e di acquisire la coscienza morale delle conseguenze delle sue azioni.

 

Lo trova in Eva, sveglia e carismatica, figlia di suo fratello e di Lana, la donna che in passato lui stesso aveva amato. Tra Alex ed Eva si instaura immediatamente una relazione di complicità, che li accompagnerà in un viaggio emotivo diretto a una intensa e inaspettata rivelazione.
Passato in sordina a Venezia 68, Eva di Kike Maìllo, con Daniel Bruhl, Marta Etura e la sorprendende Claudia Vega nel ruolo di Eva, arriva il 31 agosto in sala con Videa-CDE. L’originalità del film non sta nella trama, che pesca a piene mani dalla letteratura e dal cinema a tema ‘vita artificiale’ – da Blade Runner a Non lasciarmi, passando per Io, Robot – e di fatto potrebbe funzionare come prequel apocrifo di A.I. – Intelligenza Artificiale di Steven Spielberg (basato su uno script postumo di Stanley Kubrick). Di nuovo c’è l’ambientazione, inedita perché ispanica e lontana dai molti futuri distopici che la maggior parte dei racconti di fantascienza ci ha proposto in passato.

“Personalmente – racconta il regista – ero stufo delle visioni apocalittiche di gran parte dei mondi futuristici, in cui viene sempre descritto un pianeta dark e paludoso, dove la violenza regna sovrana. Ho trovato più interessante creare un’atmosfera che, anche se imperfetta, propone una corretta coabitazione tra civilizzazione e natura. E’ questa la ragione per cui la foresta, le montagne e la neve sono così presenti nel film, creando una sorta di universo che potremmo definire ‘ecofuturista’. Abbiamo anche cercato di immaginare un universo capace di recuperare e conservare le cose buone del passato. Come nelle nostre case, dove è facile trovare utensili, mobili o vestiti di 15, 20 o 30 anni fa. Non ci interessava un futuro completamente innovativo o hi-tech, perché volevamo che il pubblico si sentisse a casa. Perciò, al nostro universo abbiamo anche cercato di aggiungere un concetto di ‘retrofuturismo’, e abbiamo recuperato le forme, le linee e l’estetica di un tempo passato, quello degli anni ’70 e di inizio anni ’80, dando una sorta di effetto nostalgico. E’ stata un’epoca caratterizzata da un’estetica molto affascinante che ha generato film strepitosi, alla quale questa pellicola deve molto”.

Alla base ci sono le domande tipiche che una storia del genere non può evitare di porsi: “E’ possibile per noi umani sentirci così attratti e così vicini alle macchine, sempre più perfette e simili a noi, da stabilire con esse legami affettivi forti quanto quelli che abbiamo con altri esseri umani? E’ possibile che in un futuro vicino o lontano ci innamoreremo di una macchina anche se sappiamo che si tratta solo di un’imitazione? Come influirebbero queste nuove relazioni sulle vecchie relazioni con altri esseri umani? E’ possibile che ciò possa innescare un fenomeno di sostituzione progressiva?”

L’intento di Alex è quello di creare un robot tanto sofisticato da poter conquistare il cuore delle persone. Quello di Maìllo, tutto sommato riuscito, coniugare dramma e sci-fi in una visione indipendente e proporre un nuovo concetto di fantascienza dove i sentimenti prevalgano sugli effetti speciali.

autore
12 Luglio 2012

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