“Date del budget a quest’uomo!”: deve essere ciò che hanno pensato gli spettatori che nel 1997, per primi, hanno avuto la fortuna di lasciarsi stupire dal Perfect Blue, primo lungometraggio animato diretto da Satoshi Kon, che, nonostante i limiti produttivi, già rivelava il talento di un autore che appena 10 anni dopo ci avrebbe regalato un capolavoro di puro virtuosismo come Paprika – Sognando un sogno. Peccato che questo sarebbe stato anche l’ultimo film del cineasta nipponico, la cui vita è stata stroncata da un cancro a nemmeno 47 anni, con appena quattro lungometraggi, una serie anime e una manciata di corti e manga all’attivo. Abbastanza, in ogni caso, da rendere Kon uno dei più influenti registi d’animazione di sempre.
Ad oltre 25 anni dalla sua uscita, Nexo Digital porta per la prima volta nelle sale italiane dal 22 al 24 aprile quella prima perla intitolata Perfect Blue, in versione restaurata in 4k. Un’occasione che non va persa per una serie di innumerevoli ragioni.
Tratto liberamente dall’omonimo romanzo di Yoshikazu Takeuchi, con una sceneggiatura di Sadayuki Murai, Perfect Blue racconta di Mima, componente del trio di Idol chiamato Cham. Nonostante il discreto successo e la popolarità del gruppo – che, come spesso accade per le cantanti di musica J-Pop, viene seguito da una nutrita community di appassionati – Mima decide di abbandonare la sua carriera musicale per darsi a quella attoriale, accettando un ruolo fisso in una serie tv crime. Una scelta che avrà conseguenze piuttosto gravi, soprattutto quando uno dei suoi fan più accaniti, ossessionato da lei, inizierà a minacciarla sia sul web (che in quegli anni iniziava la sua diffusione commerciale) che fisicamente, aggredendo e uccidendo le persone attorno a lei. Ben presto, con le dinamiche da thriller psicologico che iniziano a galoppare, Mima si troverà a perdere contatto con la realtà e con la sua stessa identità, andando verso un finale pirotecnico in cui lo spettatore sarà continuamente costretto a chiedersi cosa sia reale e cosa no.
In Perfect Blue troviamo le tematiche che più caratterizzeranno l’opera di Kon e che in Paprika raggiungono il suo apice espressivo: su tutte l’impossibilità di distinguere tra realtà, finzione e rappresentazione. Gli artifici meta-narrativi e meta-cinematografici, in particolare, si innestano in una struttura a scatole cinesi in cui i confini delle cose sfumano man mano, rendendo tutto improvvisamente possibile. Nella lunga e incalzante sequenza finale, Kon ci offre tante diverse soluzioni, tutte credibili, smentendole l’istante dopo, fino ad arrivare a una risoluzione dell’intreccio sorprendente e incredibilmente efficace.
Questa perfetta dinamica da thriller psicologico fonda le basi su una narrazione estremamente realistica, soprattutto per gli standard degli anime. In Perfect Blue, troviamo una critica alla società e al sistema mediatico e dell’intrattenimento giapponese, una denuncia precoce sui rischi della realtà digitale e dell’anonimato su internet e un avvertimento sulla sessualizzazione estrema dei corpi femminili, che viene raccontata in una iconica e cruenta scena di stupro. Con questo film Kon ha imparato la lezione di Akira di Katsuhiro Otomo (che pure ha partecipato alla realizzazione del film in veste di special adviser) e l’ha evoluta cucendola sul suo peculiare stile autoriale. Stile che, inevitabilmente, sarà presto imitato dai più importanti cineasti di tutto il mondo.
Con la sua esperienza cinematografica durata appena l’arco di un decennio, Kon non ha solo influenzato i suoi colleghi più prossimi, a cui è stato mostrato che crudo realismo e critica sociale potessero benissimo sposarsi con l’animazione. Ha dato una lezione a tuti coloro che, anche in Europa e ad Hollywood, avrebbero da quel momento in poi deciso di cimentarsi con il genere del thriller psicologico, con o senza elementi fantascientifici.
Il cigno nero di Darren Aronofsky, ad esempio, ricalca moltissimo Perfect Blue, soprattutto nel modo in cui ci si perde nell’ossessione della protagonista. Allo stesso modo senza il delirio lucido di Paprika, difficilmente Inception del neo-premio Oscar Christopher Nolan sarebbe stato lo stesso.
Proprio l’ultimo film di Satoshi Kon è forse la sua opera più memorabile. Ma senza il tassello fondamentale di Perfect Blue non si sarebbe mai potuti arrivare a quell’espressione tanto estrema di cinema onirico e sperimentale. Nel suo primo film, notiamo tutti quegli espedienti usati dalle produzioni a basso budget per portare a casa il risultato: animazioni ridotte all’osso e riciclate, mancanza di dettagli, staticità. Eppure la regia di Kon riesce sempre a lasciare il segno, soprattutto grazie a un montaggio alternato di grande effetto, a una colonna sonora ritmata e alla capacità di sovrapporre in maniera suggestiva i piani narrativi, permettendoci di entrare nella psiche in frantumi della sua protagonista.
Ciò che più sorprende di Perfect Blue è che, man mano che si procede con la visione, ci si dimentica di stare vedendo un film d’animazione indipendente di quasi 30 anni fa. E ci si gode il viaggio.
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