VENEZIA – 37 viaggi, 53 Paesi e sognare “un mondo che ancora non si vede ma che di certo arriverà”, afferma Papa Francesco nelle primissime sequenze di In viaggio, film documentario diretto da Gianfranco Rosi, alla Mostra nella sezione Fuori Concorso, prodotto da 21Uno Film e dalla Stemal Entertainment di Donatella Palermo, con Rai Cinema.
“L’idea di un Papa in costante movimento mi affascinava molto, soprattutto che ci fosse un viaggio fuori dalle mura vaticane, nei luoghi più colpiti dai drammi nel nostro tempo. È come un pellegrinaggio inverso: non sono i pellegrini che vanno a Roma, ma lui che ci porta nei luoghi più drammatici del pianeta”, spiega l’autore.
Rosi, con questo viaggio papale, in fondo parte da là… dove un po’ ci aveva lasciati (seppur col Notturno di mezzo), ovvero dalla Lampedusa “di Fuocoammare”: l’isola è infatti il primo viaggio di Francesco, che data 2013 e risale a poco tempo dopo la sua elezione a Pontefice, occasione in cui non poté far a meno di inchinare il pensiero ai “migranti morti in mare da quelle barche che invece di essere state una via di speranza sono state una via di morte”.
Fedele alla sua personalissima narrativa e all’altrettanto soggettivo uso del montaggio, Rosi propone una sequenza di tappe internazionali restituendo un film come se fosse un grande backstage delle più necessariamente sintetiche narrazioni telegionalistiche dei viaggi papali: di Paese in Paese, alterna e ripete una sorta di formato, in cui ci mostra ciclicamente il Papa in dialogo con la stampa che lo accompagna, durante i voli aerei; poi, mentre s’immerge in bagni di folla stringendo spesso mani che s’agglomerano come tentacoli affamati di luce; o ancora in primi e primissimi piani riflessivi in solitaria, laddove anche certi silenzi “parlano”. Non sono immagini che stupiscono, sono immagini che ciascuno spettatore ha già visto quando – seppur più brevemente – la tv racconta le trasferte del Pontefice, ma sicuramente allargano la visione, sia proprio da un punto di vista tecnico-visivo, sia di maggior approfondimento dei contenuti, seppur – nella necessaria semplicità e popolarità dei messaggi – si fanno un po’ retorici, per quanto certamente universali.
Il sogno, questo concetto ricorre spesso e intenso nelle parole erranti di questo Papa; come il saper piangere; o l’anelito alla ricerca di un mondo diverso (migliore), sono i temi colonna delle sue parole al mondo.
In viaggio s’approda poi in Brasile (2013), a Cuba (2015), negli Stati Uniti (2015), in cui Francesco afferma che anche “Dio piange”, nel discorso sui casi dei vescovi accusati di pedofilia. E poi si tocca il Cile (2018) “privato delle libertà, che non significa privato della dignità”. Come spiega Gianfranco Rosi, “ho sempre scelto nei miei film di non ‘fare domande’ ma di trovare risposte in cosa accade nel mondo, davanti alla mia cinepresa. Così ho deciso di non intervistarlo: tenendo il rigore del viaggio sono riuscito a selezionare temi narrativi, usando solo quello che incontravo durante i viaggi stessi. Le ‘mancanze’ nel film sono dovute al percorso che segue il Papa, il suo percorso pastorale. La sfida è stata fare un dialogo con l’archivio e con lo sguardo del cinema: la mia esperienza precedente di autore era di immersione, mentre qui quasi da spettatore: la cosa che mi manca di questo film è di non aver aneddoti, s’è svolto tutto in una sala di montaggio, ma – man mano – con il mio modo di fare cinema, il mio sguardo sulle cose”.
L’autore spiega la visione, dapprima, di “600 ore di materiale e non sapevo se potesse nascere un film: non avevo mai lavorato con l’archivio. Dopo mesi e mesi mi sono lanciato, anche se non avessi bene idea, ma pensavo ci fosse del potenziale per un film. Si trattava di materiale girato per esigenze diverse, poi montato per un’esigenza cinematografica; il primo montaggio è stato per libera associazione. Poi è successa la guerra che s’è ‘mangiata’ il nostro montato e così abbiamo pensato di seguire la struttura cronologica, giusta così per far uscire la coerenza dei suoi discorsi, dei ‘perché’ di questi viaggi. E così è rimasta la struttura e rimane anche la guerra: è un film aperto”, infatti, confessa Rosi: “eravamo pronti a partire, se ci fosse stato un viaggio una settimana fa, per poi montare e portare il film a Venezia. È un film aperto”.
Pochissime le interazioni dell’autore col Papa, infatti: “è stata come un’interazione immaginaria. La mia richiesta era poterlo filmare nei suoi momenti di meditazione: sono molto intimi e sono solo 2/3, ma sono i silenzi che aiutano a costruire i passaggi”.
Ancora, durante un trasferimento aereo, Francesco ammette pubblicamente di aver sbagliato quando – proprio parlando delle vittime di abusi – ha chiesto che le stesse dimostrassero la cosa con una “prova”: questo “mea culpa” a testimonianza di una postuma ma apprezzabile autocritica, riflesso di umano errare per troppa adesione alle necessità della Legge e poca a quelle del sentimento dell’essere vivente. “È un Papa che chiede scusa a nome della Chiesa ma anche a titolo personale”, commenta Rosi.
Si viaggia ancora nelle Filippine (2015), nella Repubblica Centroafricana (2015), in Kenya (2015), e poi in Israele (2014), in cui vediamo un Papa solo e silenzioso addosso al Muro del Pianto, tra le cui fughe appoggia e nasconde una lettera: viaggio, questo, che lo porta anche al Santo Sepolcro.
S’approda in Messico (2016), in Armenia (2016) e poco prima in Turchia (2014), dove Francesco afferma chiaramente che “il diritto alla protesta lo abbiamo tutti”. L’anno 2019 è dedicato agli Emirati Arabi, al Madagascar e al Giappone, nel cui racconto della tappa sono suggestive le immagini di repertorio in bianco&nero che mostrano le conseguenze della bomba atomica sulle persone.
C’è poi uno stacco, quello relativo il periodo del lockdown totale, non un momento dichiarato, ma lasciato a intendere, perché dal Sol Levante si passa al Canada 2022, poi con un piccolo passo a ritroso nel mostrare le sequenze potentissime del 27 marzo 2020, con Francesco in solitaria sotto la battente pioggia che governava una deserta Piazza San Pietro, quando allora il mondo sapeva ormai da un paio di settimane di essere nella morsa di una pandemia, e lì lui riferisce di “un silenzio assordante e un vuoto desolante”. Rosi c’era in questo viaggio canadese e racconta che “nella palestra di una scuola in cui ero entrato per ripararmi dalla pioggia e per cercare un caffè ho visto delle foto, anche così ho scoperto il materiale d’archivio. Essere parte di un viaggio, per me, ha cambiato l’approccio: abbiamo acquisito in 24h quelle foto, in quel momento non sapevo come girare perché era un luogo pieno di sofferenza, e poi sono circostanze in cui non sei libero di scegliere il tuo angolo di ripresa. L’unico modo di filmare era sfocando, ma era un azzardo: filmavo le scuse del Papà in diretta mondiale sfocate? Una follia ma era l’unico modo, con la sfocatura come ombra del passato… Lì – in Canada – il Papà era andato per chiedere perdono, definì la cosa un olocausto”.
Seppur poi (dopo il periodo di pandemia) si “ritorni alla vita”, come annuncia una voce ufficiale Alitalia: “dopo 15 mesi, il primo volo papale”, destinazione Iraq (2021), con sorvolo di una Mosul squarciata dal conflitto.
Il viaggio di Rosi, e in primis di Francesco, è un viaggio senza confini, perché arriva anche nello Spazio: le sequenze del film mostrano anche il collegamento tra il Vaticano e la Soyuz, un una diretta con la stazione spaziale su cui era presente anche il nostro Paolo Nespoli, nell’ottobre 2017.
L’ultimo viaggio testimoniato In viaggio, infine, è Malta 2022, cui segue un’immagine conclusiva molto intima, di Papa Francesco chino in preghiera, ripreso dall’alto, in una stanza piccola e piuttosto buia, fesa solo da una luce che appena permette di percepirlo, visione accompagnata dalle sue parole d’invocazione a Dio: “…ferma la mano di Caino e quando l’avrai fermata abbi pietà anche di lui”.
Il film esce il 4 ottobre in sala, distribuito da 01 Distribution: “Non so se il Papa sappia che il film è a Venezia, ma mi dicono che non si guardi mai nelle cose di cui è protagonista ma, a chi ci ha fornito il materiale, ho voluto mostrarlo per capire se ci fossero dei buchi: sono ignorante di Cattolicesimo e Chiesa e così mi sono avvicinato con libertà dal giudizio e dal pregiudizio, per raccontare un uomo. Credo il film sia una mappa della condizione umana, non solo il ritratto di un uomo ma anche il ritratto di questo mondo”.
E' possibile iscriversi per team di nazionalità italiana composti da registi alla loro opera prima o seconda, associati a produttori che abbiano realizzato almeno tre audiovisivi
"Il cinema italiano ne esce bene. E anche Netflix". Bilancio di fine Mostra per il direttore Alberto Barbera e il presidente Roberto Cicutto. Si registra un +6% di biglietti venduti rispetto al 2019. Tra i temi toccati anche il Leone del futuro ad Alice Diop, documentarista attiva da più di dieci anni
Abbiamo incontrato il regista Leone d’argento – Miglior Regia: “Non penso sia un film horror ma una storia d’amore, come non credo che L’Esorcista non sia un horror ma un film bergmaniano fatto a Hollywood”. Bones and All esce in Italia – e nel mondo – dal 23 novembre
A volte i veri protagonisti sono gli assenti, come il regista dissidente Jafar Panahi, imprigionato da ormai due mesi, a cui Luca Guadagnino e Laura Poitras dedicano i loro premi