VENEZIA – Il romanzo simbolo del verismo, I Malavoglia, per raccontare i giovani del terzo millennio, “quei ragazzi del Sud, ma anche del Nord, persi in questa immensa periferia urbana che è diventata la nostra esistenza, in questo mare che ci alletta, ci rapina ogni cosa e, quando vuole, ci restituisce i nostri sogni persi nei meandri della corruzione”. Pasquale Scimeca, un autore che ha raccontato la realtà siciliana di ieri (e di oggi) in film come Placido Rizzotto e Rosso Malpelo, affronta la sfida ardua del romanzo di Verga che ha ispirato anche uno dei capolavori del neorealismo come La terra trema. Lo fa con una versione libera ma anche molto fedele del romanzo, e con la coerenza di uno che è sempre stato dalla parte dei vinti. Ma oggi il ribelle ‘Ntoni è un rapper di paese e all’orizzonte ci sono le carrette del mare e i migranti sfruttati quasi quanto i poveri dell’Occidente, che possono perdere tutto, anche la vita, per campare. Girato a Porto Palo, in provincia di Ragusa, interpretato da non professionisti, tra cui Vincenzo Albanese, un infermiere che è diventato negli anni presenza fissa dei film di Scimeca, scritto con Nennella Bonaiuto, prodotto dalla Arbash con Cinecittà Luce, Cinesicilia e in collaborazione con Rai Cinema, il film, che si avvale anche della carismatica presenza di Vincenzo Consolo, è a Venezia in Orizzonti in concorso.
Partiamo dall’inizio. Cosa l’ha spinta a rileggere un romanzo del 1881?
La mia passione per Giovanni Verga è antica, risale a quando ero ragazzo. Io lo considero un tragico più che un verista, capace di cogliere l’essenza della condizione umana che, pur in situazioni sociali diverse, si ripete di generazione in generazione. Partendo dalla condizione dei vinti che la corrente depone sulla riva dopo averli travolti ed annegati, in Verga c’è anche una critica implicita all’idea di progresso, perché quello che visto da lontano sembra tale, in realtà, visto da vicino, è tutt’altro.
Chi sono oggi i vinti? Non sono radicalmente cambiate le condizioni di vita sul nostro pianeta?
La maggior parte degli uomini vive tuttora nella povertà o almeno nell’impossibilità di esprimere le proprie potenzialità. Verga osservava i pescatori di Aci Trezza, nel Catanese, dove aveva una vigna. Io spero di fare la stessa cosa: osservare con gli occhi e con la mente. È vero, sono cambiate le condizioni sociali e storiche, anche quelle in cui vive la povera gente. Non ci sono più i borghi e i villaggi, perché il mondo è diventato una grande periferia dove le condizioni si equivalgono. Da noi per esempio non manca il pane, ma manca tutto il resto, mentre in America Latina e in Africa si muore ancora di fame. Però c’è una disperazione esistenziale dovuta all’assenza di un presente e di un futuro.
Però nel film lei lascia prevalere l’ottimismo della volontà gramsciano, dando una speranza di futuro ai personaggi che riescono in qualche modo a ricreare il patto spezzato tra le generazioni.
Per me l’ottimismo della volontà è una specie di credo. Anche in Verga si parla della rottura tra le generazioni: il giovane ‘Ntoni, che vuole migliorare, va nel continente a fare il soldato, ha uno scontro anche fisico con il nonno padron ‘Ntoni, però in qualche modo dialoga con lui. Anche nel mio film i vecchi sono àncorati al passato e i giovani vogliono cambiare, ma ognuno è chiuso nella sua solitudine, non c’è dialogo. La solitudine è una condizione tipica del nostro tempo. Una volta c’era una comunità: la famiglia, la fabbrica, l’organizzazione del lavoro, la politica. Oggi anche questo è perduto.
Però si crea spontamente una rete di solidarietà tra gli italiani e l’immigrato Alfio, che viene accolto e aiutato.
Quelle sono reminiscenze del passato: in Sicilia c’è questa tradizione di accoglienza e una consapevolezza della condizione di chi emigra, perché anche i siciliani sono stati per molti anni emigranti. È una solidarietà che avviene in modo spontaneo.
Le figure femminili sono importanti come non mai nel suo cinema.
È vero. Maruzza, la madre, mi piace pensarla vicina al nostro tempo, perché esprime la condizione generalizzata di migliaia di donne proletarie, sui 45-50 anni, che sono cresciute con i valori della famiglia e oggi vivono il crollo di tutto questo. I figli crescono, il marito se ne va – in questo caso è morto – e lei non sa più qual è il suo ruolo al mondo. Questo senso di impotenza le porta a una condizione di follia. Nell’alienazione le donne si rivoltano contro se stesse, con l’alcol e gli psicofarmaci. Le due ragazze invece sono speculari l’una all’altra: Mena ha i piedi per terra, sente il dovere verso gli altri e verso la famiglia in senso pasoliniano; Lia, la più giovane, non è né carne né pesce e sogna il principe azzurro. È un modo di essere adolescenti tipico di un piccolo paese, diverso da quello delle grandi città.
Come ha scelto il cast?
Ho seguito il concetto neorealista di Luchino Visconti. Le persone vengono dal posto dove abbiamo girato con l’eccezione di Antonio Ciurca e Omar Noto che avevano già lavorato con me in Rosso Malpelo e di Maruzza, che è Doriana La Fauci, un’attrice di teatro. Ho scelto queste persone perché sono vicine nel carattere ai personaggi verghiani. Giuseppe Firullo, Padron ‘Ntoni, ha 71 anni ed è un pescatore e da poco una tempesta gli ha distrutto per davvero la barca come accade alla Provvidenza.
Questo è l’unico legame con “La terra trema”?
Sì, oltre naturalmente al romanzo. Anche Visconti aveva in tasca I Malavoglia sul set, ma poi ha fatto un film sui pescatori di Aci Trezza del ’48, che erano ancora identici ai pescatori di Aci Trezza dell’epoca di Verga. Oggi quel mondo non esiste più. Porto Palo, la cittadina più a Sud d’Europa, vive di pesca, ma se ti sposti di 1 km ci sono serre modernissime dove si produce il pomodorino di Pachino, e c’è una forte presenza di extracomunitari che lavorano la terra.
Il rapporto con la natura, nel film, è centrale e molto emozionante.
Il romanzo è scritto da un uomo di terra che guarda il mare dalla riva. Anche nel film di Visconti si vedono i pescatori partire e tornare, mentre le donne aspettano davanti ai faraglioni. Invece io ero interessato proprio al mare come elemento fluido dove non hai più sicurezze. Il mare è l’ignoto, il destino, il mare ti conduce altrove ma ti può anche risucchiare. Il mare del nostro tempo si apre verso l’infinito e ci fa sentire tutto il nostro smarrimento, perché il nostro mondo è una barca che naviga verso l’ignoto. Quando arriva la tempesta, non sai a chi votarti… Cosa puoi fare quando sei in alto mare, col motore rotto? Puoi solo pregare.
Così recupera anche una dimensione religiosa, come si vede in una delle ultime scene in cui il ragazzo cristiano e il musulmano pregano insieme, ciascuno secondo la sua tradizione.
La religione non è più l’oppio del popoli, ma un bisogno primordiale che nasce di fronte a una natura più grande di te. È quello che sta succedendo ai ragazzi sottoproletari del mondo, che non hanno più niente se non un Padre nostro o una semplice preghiera di un’altra religione. In Bolivia i ragazzi stanno riscoprendo la Madre Terra..
Con MaXXXine, in sala con Lucky Red, Ti West conclude la trilogia iniziata con X: A Sexy Horror Story e proseguita con Pearl, confermandosi una delle voci più originali del cinema di genere dell’era Covid e post-Covid
Dove nessuno guarda. Il caso Elisa Claps - La serie ripercorre in 4 episodi una delle più incredibili storie di cronaca italiane: il 13 e 14 novembre su Sky TG24, Sky Crime e Sky Documentaries.
Codice Carla mostra come Carla Fracci (1936-2021) fosse molto più di una ballerina famosa.
Il disegnatore, illustratore e docente presso la Scuola Romana dei Fumetti ci racconta come ha lavorato sugli storyboard dell'ultimo successo di Gabriele Mainetti