Pasquale Scimeca: contro i telefoni bianchi del 2000


“Il cinema italiano di oggi è come il cinema dei telefoni bianchi durante il fascimo: pura propaganda”. Sono pesanti come un macigno le parole di Pasquale Scimeca. Rivoluzionario da sempre, uno spirito inconciliabile con le commedie giovanilistiche che vanno di moda al botteghino. Per il suo ultimo lavoro, Rosso malpelo, ha scelto una strada del tutto alternativa. “Non ho cercato una distribuzione perché mi rendevo conto che in questo sistema un film così non può trovare distribuzione. Piuttosto abbiamo da subito puntato a costruire un progetto alternativo”. Una rete di cui fanno parte la Cgil, l’associazione Libera di Don Ciotti, l’Agiscuola, il Comune di Roma, il ministero della Solidarietà Sociale. Proprio al ministero si deve la circolazione del film in quindici città durante la settimana dal 19 al 25 novembre, in occasione della Giornata Mondiale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che sarà celebrata il 20 novembre. “La situazione dello sfruttamento minorile – spiega il ministro Paolo Ferrero – è peggiorata e non solo all’estero. Nel mondo sono 218 milioni i minori sfruttati, in Italia 144mila secondo dati Istat del 2000, ma gran parte del fenomeno è clandestino e legato all’immigrazione e alla criminalità. È questa l’altra faccia del dibattito sull’ordine pubblico e la sicurezza”. Rosso malpelo getta un sasso nello stagno destinando i proventi del film, realizzato grazie all’impegno a lavorare al minimo sindacale dei soci della cooperativa Arbash, a finanziare un progretto triennale di recupero per i bambini che lavorano nelle miniere del Potosì, in Bolivia. Ma l’impegno di Scimeca è tangibile anche nell’estetica del film, che richiama visivamente il Cinema Novo brasiliano non senza momenti grotteschi, con il mendicante Franco Scaldati e la zia baciapile Lucia Sardo. L’intreccio è fedele alla celebre novella di Verga, che racconta l’odissea di un piccolo reietto rimasto orfano e inviso a tutti perché rosso di capelli, amico solo di un altro minatore bambino, il gracile Ranocchio: quasi incapaci di giocare e persino di sognare un vita diversa. Rigoroso nella scelta di girare dentro i cunicoli delle miniere di Floristella, in condizioni difficilissime, forte nell’uso del dialetto siciliano, commentato dalla world music di Miriam Meghnagi, Rosso malpelo – prodotto anche grazie alla Regione Sicilia – è già stato visto in 180 scuole dallo scorso marzo.

L’uso di un dialetto molto stretto ha reso necessari i sottotitoli. Come mai questa scelta?
La sceneggiatura, scritta con Nennella Bonaiuto, è fedele ai dialoghi di Verga, che scriveva a partire dal siciliano: noi abbiamo voluto ritradurlo in dialetto per alludere allo slang dei meninos da rua brasiliani. La loro lingua è il segno di un’impossibilità di comunicare, qualcosa di diverso dal dialetto di Visconti in La terra trema, che era la lingua dei poveri contrapposta all’italiano, lingua dei ricchi.

Verga, per lei, è sempre stato il padre del neorealismo.
Il neorealismo, l’unico movimento rivoluzionario che il cinema italiano abbia prodotto, deve molto a Verga. Il mio film vuole essere di rottura, come lo è stato il neorealismo, rispetto a un cinema dove tutti i film sono uguali, massificati. Il mio è un cinema che vuole raccontare la realtà per cambiarla come faceva il Cinema Novo brasiliano negli anni ’60. Ma nel film sono confluite anche altre esperienze: il verismo sociale di Capuana e De Roberto, il realismo magico di Jorge Amado, l’iperrealismo di Scaldati, grande drammaturgo purtroppo sottovalutato.

A proposito di Scaldati, sono straordinarie le scene in cui lo vediamo nei panni del mendicante duettare con un ubriaco nella piazza del paese: quasi un film nel film con toni grotteschi e autenticamente popolari.
Con Scaldati girerò il mio nuovo film, che avrà toni di commedia e sarà ispirato a “Il cavaliere sole”. Voglio recuperare la recitazione di alcuni vecchi attori siciliani straordinari: è una tradizione che sta alle origini, ad esempio, delle cose di Ciprì e Maresco.

Si sente completamente estraneo nel cinema italiano contemporaneo?
Alla base del mio lavoro c’è un’idea etica che è condivisa, anche se solo in parte, dal cinema italiano. E’ chiaro che un cineasta come Olmi si può permettere di fare i film che vuole… ma non è così per tutti e spesso il cinema italiano viene accusato di rubare i soldi allo Stato. Si dà ai soldi un’importanza esasperata, si misura tutto con il mercato. Un film ha senso solo se incassa: se fosse vero, si dovrebbe cancellare più di metà della storia del cinema.

Perché avete rinunciato all’idea di una distribuzione commerciale e anche a partecipare ai festival?
Per i festival abbiamo deciso di partecipare solo a Giffoni, perché è un festival per ragazzi. Come il cinema è omologato, lo è anche il sistema dei festival che ruota attorno a quell’industria. Per quanto riguarda la distribuzione, vista la situazione italiana, con sei distributori che si spartiscono il mercato e che spesso controllano anche le sale e in qualche caso anche la tv, abbiamo capito che non c’era spazio per noi. Con 5.000 € di investimento pubblicitario, abbiamo incassato 230mila € e andiamo avanti con l’obiettivo di raccogliere mezzo milione di euro per il progetto di solidarietà.

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15 Novembre 2007

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