“Con La passione di Giosuè l’ebreo racconto un Cristo di parola, portatore di verità e rivoluzionario”. Pasquale Scimeca, sul set a Cinecittà, racconta la sua nuova avventura produttiva e artistica. Mezza nave, in balia di onde, pioggia e vento fortissimi, è l’ambiente dove vengono girate alcune scene. Al centro della storia “un ragazzo destinato a diventare il Messia degli ebrei”, racconta il regista. Il film si svolge nella Spagna del 1492 quando la regina Isabella di Castiglia promulga un editto di espulsione degli ebrei dal Paese: “Giosuè, il cui nome è l’esatta traduzione dall’ebraico Yeshua, affronta un destino di esilio. Con alcuni compagni di viaggio si imbarca su una nave che lo porterà in Sicilia”. Il film, concepito dal regista siciliano nel 2000, aveva ricevuto un finanziamento alla scrittura dall’Istituto Luce. Oggi Giosuè l’ebreo è prodotto da Arbash Film, società di produzione dello stesso Scimeca: “Coproduce con noi l’IIC, l’Istituto di cultura italiana della Catalogna. Abbiamo inoltre ottenuto un fondo di garanzia dal Ministero per 3 milioni e 500mila € e un fondo Eurimages di 600mila €”. Il film, che si avvale delle scenografie del premio Oscar Osvaldo Desideri e della fotografia di Pasquale Mari, verrà distribuito in Italia dall’ Istituto Luce.
Perché Giosuè va in Sicilia?
Per trovare rifugio presso alcuni parenti. Ma l’editto di espulsione è arrivato anche lì, territorio degli spagnoli. Giosuè scopre che i pochi parenti rimasti sul territorio si sono convertiti al cattolicesimo e sono andati a vivere sulle Madonie. Lui li raggiungerà e lì si troverà a interpretare Cristo in una sacra rappresentazione. Giosuè si rende conto che Cristo è ebreo e scopre anche che tutto ciò che Cristo ha detto, i vangeli, non sono altro che una sintesi del pensiero ebraico.
Parla di una continuità tra la Torah e il vangelo.
Tutto ciò che è scritto nei vangeli è rintracciabile nella Bibbia. Giosuè inizia a intepretare il Cristianesimo recuperando questo aspetto più vero di Gesù. Ma il suo modo di predicare il Cristianesimo non piace alle autorità ecclesiastiche del luogo le quali decidono la sua crocifissione.
Cosa esprime, nelle sue intenzioni, la Passione di Giosuè?
L’umanità del Cristo e quindi la sua universalità. Uno dei grandi problemi irrisolti del Cristianesimo è stato proprio quello di aver privato Gesù di questo suo volto e di averlo ridotto ad un dogma. Cristo è prima di tutto verbo, parola non filosofica ma poetica. L’universalità della parola del Cristo è valida solo in quanto riconducibile alla sua umanità.
Il suo Giosuè sembra seguire le orme del Cristo pasoliniano e prendere le distanze da quello di Mel Gibson.
La Passione secondo Gibson è una rappresentazione di una simbologia senza parole. In quel film si afferma che Gesù ha sofferto per gli uomini. Nel mio film invece Giosuè parla, dice la verità e proprio per questo è un rivoluzionario. Il potere da sempre non sopporta la verità.
La parola di Gesù è poetica, diceva prima. Il Cristo dice la verità usando metafore. La parola dell’artista?
Tutto il mio percorso artistico è segnato dalla necessità di dire la verità. Solo così si possono creare delle opere che abbiano un qualche valore artistico altrimenti si può tranquillamente cambiare strada. Inoltre, io ho sempre avuto il gusto di raccontare le storie degli umili, di chi ha fatica ad essere ascoltato.
Una curiosità, come si è avvicinato a questo tema?
Ci sono dietro ragioni autobiografiche. Ho scoperto di avere antenati di religione ebraica sefardita. Più in generale, pur essendo laico, sento molto forte il problema della religione. In Cristo c’è una dimensione poetica senza eguali. Il suo modo di parlare arriva direttamente al cuore degli uomini, compreso il mio.
Finite le riprese a Cinecittà questa settimana. Poi dove andrete?
In Spagna, nei Pirenei, per due settimane.
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