Giancarlo Parretti ha l’aria di Joe Pesci e incredibili doti di attore che sfodera nella thrilling comedy di Aureliano Amadei presentata al Festival di Roma in Prospettive Italia. Il film, prodotto dalla Suttvuess di Federico Schiavi e scritto con Gian Piero Palombini e Alessandro Falcone, doveva fare parte di una serie in 12 puntate sui grandi crac finanziari d’Italia, ma ha preso corpo come storia autonoma. A cui il regista di 20 sigarette ha lavorato come a una fiction vera e propria, con un appassionante intreccio di fatti, testimonianze e sensazioni evocate dalla colonna sonora e dai molti spezzoni di vecchi film. Andrà in onda per “La storia siamo noi” di Minoli ma merita una vita anche in sala se una distribuzione si farà avanti. Per questo Amadei preferisce non definirlo un documentario, “parola che taglia le gambe alla diffusione di un’opera”. Anche se l’impianto documentario è forte e puntuale.
Non è facile dire la verità sulla irresistibile ascesa del lavapiatti di Orvieto, diventato in breve giro imprenditore e finanziere, oggi ritirato in un ‘piedatterra’ a Roma da dove spera di fare affari con gli Emirati Arabi (progetta un parco a tema con antichi romani), preparando tagliatelle al sugo. Da Siracusa alla Milano da bere, da Lione a Hollywood, fino alla scalata alla Metro Goldwyn Mayer l’impresa per cui spera di essere ricordato. Tra inciuci politici, fallimenti, bluff, avvisi di garanzia, il set di Thelma & Louise… ma sempre riuscendo a evitare la galera, dove ha trascorso appena 15 giorni. E senza mai deprimersi. “In carcere si dimagrisce, è meglio di Messegue”, sentenzia.
“Quando siamo andati a Orvieto a cercarlo – racconta Amadei – ci ha dato subito un appuntamento e ci ha rilasciato l’intervista che è diventata l’ossatura del film, insieme a tante fotografie e filmati”. Ovvio, perché il non sottrarsi fa parte della sua filosofia “parlane bene, parlane male, purché se ne parli”.
Difficile anche districarsi fra le migliaia di articoli usciti in tutto il mondo (in uscita un libro scritto con Gabriele Mastelloni). E su tutto l’ombra lunga di Silvio Berlusconi, con cui Parretti condivide la faccia tosta del self made man, l’attrazione per il mondo del cinema e i legami con i socialisti, oltre alla proprietà del Milan calcio. “Sono stato padrone del Milan per 24 ore, io che sono interista, poi l’ho dovuto vendere a lui, per ordine di Craxi, che era presidente del Consiglio. Venne a incontrarmi a Parigi, dal produttore Goffredo Lombardo. Mi disse che secondo un sondaggio era il terzo uomo più famoso d’Italia, io gli risposi che all’Ucciardone ero il numero uno e che preferivo essere il numero uno lì perché del terzo classificato non si ricorda mai nessuno. Lo incrociai altre volte, quando comprai la MGM gli proposi di prenderne una quota, ma chiese di cambiare il nome in SBC, Silvio Berlusconi Communication, e non se ne fece nulla. Richiesta assurda, perché MGM è un marchio famoso quasi quanto la Coca Cola”.
Per Amadei il link con l’ex premier è talmente evidente che non c’è nemmeno bisogno di esplicitarlo più di tanto. “Parretti fu arrestato il giorno prima del varo in Parlamento della legge Mammì, in qualche maniera ci fu una sorta di passaggio del testimone fra i due. E’ il lato profondo del documentario: l’ingresso della finanza nel mondo dello spettacolo, che in un decennio ha portato a colonizzare le nostre emozioni. E non dimentichiamo che Berlusconi è tuttora il più grande produttore e distributore in Italia”.
Il leone di Orvieto è una storia internazionale – anche Svizzera e Francia sono interessate all’acquisto del film – che dice molto sulla Storia nazionale. Una “stangata” che ci riguarda tutti.
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