La definisce una storia corale dove tutti sembrano patire un’incertezza e un’ansia del futuro che accomuna vittime e carnefici. Non un film lagnoso o che si autocommisera. Così Paolo Virzì presenta Tutta la vita davanti, viaggio ironico e beffardo attraverso l’inferno del lavoro precario in un call center, argomento fino a poco tempo fa poco visibile al cinema. E soprattutto allegoria cinica dell’Italia di oggi, nella quale i giovani non hanno futuro, a cominciare da quelli meritevoli costretti ad andarsene all’estero o ad accettare mestieri sottopagati.
E forse non è un caso che Virzì punti tutto per la protagonista, una giovane laureata con lode, sulla quasi esordiente Isabella Ragonese (unica apparizione cinematografica in Nuovo mondo) e sui più che emergenti Elio Germano e Valerio Mastandrea, un’inedita Micaela Ramazzotti oltre a due interpreti, già sperimentati in precedenza dal regista livornese, come Sabrina Ferilli e Massimo Ghini.
Il film, che esce con Medusa il 28 marzo in 350 copie, è liberamente ispirato al libro “Il mondo deve sapere” di Michela Murgia, una sorta di diario, blog che narra in modo vivace e non lamentoso le vicissitudini di una giovane precaria. Il risultato finale è un film che rivela l’anima anche un po’ tragica, non solo ironica e giocosa, di Virzì. Ha ragione Francesco Bruni, sceneggiatore da sempre dell’autore toscano, quando sostiene che Virzì è in fondo un regista drammatico “che riesce a rivestire storie amarissime di una veste divertente, per cui uno ride, ride, ride e poi esce dal cinema con il groppo in gola”.
Come definirebbe il suo film?
Un’apocalisse allegra della vita di questi disgraziati scintillanti di modernità con i loro computer e cellulari, ma che non sono altro che gli ultimi della società.
Non le sembra di aver diretto un film cupo?
Non direi. Come dimenticare la solidarietà tra due donne così differenti quali Marta colta, ironica e gentile e Sonia una sciacquetta ignorante e smarrita, una ragazza madre immatura. E quella scena che vede quattro generazioni di donne a tavola insieme, come la mettiamo? E poi non è compito mio annunciare una salvezza per l’Italia, sono un umile servitore del pubblico, il mio lavoro è fare intrattenimento nel modo più nobile e appassionato.
Insomma una speranza c’è anche per Marta?
Innanzitutto riesce a pubblicare un saggio sulla sua esperienza lavorativa su una rivista inglese di filosofia. Forse la chiameranno in un convegno a Francoforte, le offriranno un dottorato. E poi la piccola Lara, di cui è la tenera baby sitter, non vuole fare da grande proprio la filosofa? Marta è riuscita a trasmettere cultura laddove c’era il deserto. E lo ha fatto senza pregiudizi e spocchia, con tanto candore.
Solidarietà innanzitutto?
Nel call center tutte quelle ragazze ballano insieme ma sono terribilmente sole, e se il lavoro non è un’esperienza di rapporti personali non c’è civiltà.
Ma tutte queste ragazze così decerebrate?
Sono obbligate a esserlo, devono stare alle regole del call center e dunque sorridere e applaudire a comando. Poi finalmente una di loro non ce la fa più ed esplode.
Di nuovo ha voluto sul set la Ferilli e Ghini?
Con loro ho una fratellanza di sguardo sulla vita e sulla società italiana. Solo loro potevano essere così cattivi nei panni della capotelefonista del call center e del capo della azienda Multiple. Grazie alla loro purezza e complicità sono riuscito a rendere questi personaggi non solo così cupi e neri come sembrano.
Anche i “cattivi” interpretati da Ghini e la Ferilli sembrano avere le loro fragilità?
La mia è in fondo un’opera un po’ ‘arendtiana’. Non è un caso che nel film torni diverse volte il nome della filosofa Hannah Arendt, a cominciare dalla tesi universitaria della protagonista. E’ la Arendt, in occasione del processo, a parlarci di pena nel vedere un uomo squallido come Adolf Heichmann, il ragioniere nazista della ‘soluzione finale’. Ecco Marta ha lo sguardo di chi non condanna ma neppure assolve.
Come è nato il titolo?
Io e lo sceneggiatore Francesco Bruni, scorrendo il copione, ci siamo imbattuti in una battuta della madre di Marta che diceva alla figlia “Non preoccuparti hai tutta la vita davanti”. E’ un titolo ironico, l’esatto contrario di quel che succede a questi giovani ai quali a 25 anni è già tutto precluso.
Ancora una volta si è servito di una voce fuori campo, affidata a Laura Morante, che segue le vicende?
Mi piacciono i film con la voce narrante come Papà è in viaggio di affari o Alfredo, Alfredo. Non rinuncerò mai a una voce che imbroglia e scherza con lo spettatore, che racconta queste avventure di Marta come si trattasse di una fiaba ironica e perversa.
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