PAOLO VIRZI’


“Abbiamo scritto la sceneggiatura divertendoci come ragazzini e ho iniziato le riprese sulla spinta di quella allegria incosciente”. Paolo Virzì parla di My name is Tanino, fuori concorso a Venezia, come “cronaca di un viaggio avventuroso, inno alla stagione della stupidità e del candore giovanile, ma anche viaggio iniziatico dentro sogni e incubi di un ventenne sprovveduto. O addirittura un pamphlet sociopolitico per dimostrare che l’America non esiste, e se per caso esiste non ha senso”.
Questa volta, oltre al suo abituale cosceneggiatore e amico di una vita Francesco Bruni, il regista ha collaborato con lo scrittore Francesco Piccolo. “Tra me e Bruni c’è un rapporto matrimoniale, ma come dice lo stesso Piccolo, siamo gente del Nord, gente di mondo, e allora abbiamo deciso di introdurre l’amante, come nelle canzoni di Charles Aznavour”.
Il film, in seguito ai guai del suo produttore, Vittorio Cecchi Gori, ha avuto una lavorazione lunga e travagliata. “A volte mi sembra che quest’avventura rocambolesca rappresentasse l’unica maniera per fare questa pellicola. Tanino è uguale: incasinato, sempre nei guai, comico e penoso come la lavorazione del film “, scherza Virzì.

Chi è Tanino?
Un ventenne cinefilo e ignorantissimo, un sognatore sconclusionato. Da Castelluzzo del Golfo, un paesino siciliano, vola fino a Seaport, una cittadina del New England, per rintracciare Sally che sei mesi prima gli ha dato un bacio fortuito. Dopo una rocambolesca serie d’avventure, finisce a “Manhàa” (Manhattan, ndr) dove trova rifugio nella dimora malandata del suo film maker preferito, una specie di dolce barbone rintronato e in fin di vita.

Di nuovo un personaggio “fuori luogo”?
Mi piace raccontare vicende penose con tono canzonatorio. Il personaggio di Tanino prende spunto da certi aspiranti allievi di regia della Scuola nazionale di cinema: ragazzi carichi di sogni velleitari, che non ce l’hanno fatta a superare l’esame di ammissione. La loro candida inadeguatezza mi ha fatto venire voglia di scriverci sopra un soggetto. Tanino perde i sensi ogni volta che deve superare un ostacolo, e vola nel suo mondo di sogni infantili che qualche volta si trasformano in incubi.

E l’America?
Tanino compie una specie viaggio d’iniziazione, come in alcuni romanzi per ragazzi, per esempio Tom Sawyer di Mark Twain. L’America, vista dai suoi occhi di mitomane stordito dal jet lag, è un mondo favoloso e insensato, quasi da incubo kafkiano. Una volta capitato tra i soavi convenevoli di una famiglia di benestanti wasp, Tanino, coi suoi modi da zingaro italiano stralunato e cialtrone, produce un effetto comico irresistibile e quando cade tra le grinfie di suoi paesani appiccicosi e opprimenti si sente come in una succursale grottesca della sua Castelluzzo.
Del resto gli americani non smettono di stupirmi: quando si salutano, si amano, litigano lo fanno come in un film. Quando lavorano sono diligenti e organizzati e si prendono molto sul serio, come bravi e volenterosi boy scout. Hai la sensazione che in quel vasto territorio si stia fabbricando quotidianamente la più grande soap opera di tutti i tempi: lo stile di vita americano.

Alcuni set erano a Toronto e a New York…
Ho iniziato questo film come fosse un kolossal. Avevo intorno un numero inverosimile di assistenti. Qualsiasi movimento facessi c’era sempre qualcuno alle mie spalle con l’auricolare e il microfonino che comunicava i miei spostamenti ai numerosi reparti. Dopo alcune settimane di riprese, i soldi dall’Italia hanno cominciato ad arrivare a fatica laggiù, quindi non sono arrivati più. La lavorazione prima si è bloccata, poi è andata avanti in modo quasi volontaristico e a singhiozzo per poi bloccarsi di nuovo. Abbiamo infine girato alcune sequenze sei, sette mesi dopo. Le ultime inquadrature sono state realizzate con una troupe di tre persone: io, il direttore della fotografia e l’attore principale. Da kolossal si è trasformato in un film di cineamatori allo sbaraglio. Ma tutto ciò mi piace perché assomiglia molto allo spirito bizzarro, anarchico e capriccioso della sceneggiatura, a quel Tanino che c’è, c’è stato, in ognuno di noi e che abbiamo voluto celebrare.

Dopo l’avventura di Tanino ha già pronto un altro progetto?
Sto scrivendo con Bruni una storia su un anno di scuola media di una tredicenne di provincia che viene a Roma con la famiglia. Vittorio Cecchi Gori, da grande campione di sregolatezza, sarebbe in assoluto il produttore ideale, ma forse questa volta mi affido a un altro.

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06 Agosto 2002

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