Paolo Pisanelli


Forse l’Italia sta trovando un nuovo autore. Cosa rara, ultimamente. Ancora più rara perché Paolo Pisanelli è regista di documentari. L’altro ieri al cinema Politecnico – alla presenza di Imma Battaglia, leader della comunità omosessuale ai tempi del World Pride 2000 e Nicki Vendola, unico parlamentare gay dichiarato – sono stati presentati i due documentari che Pisanelli ha dedicato a Roma, in particolare alla Capitale del pre e post Giubileo.
Il primo è stato prodotto dalla Fandango e da Carlo Cresto-Dina (leggi lo speciale su CinemaZip), il secondo, presentato in anteprima, dalla Indigo Film e dalla Big Sur, si intitola Roma a.d. 000 – nel nome dell’orgoglio. Il film racconta la tensione di una città come Roma nell’anno del Giubileo invasa da centinaia di migliaia di gay, lesbiche, transgender, bisessuali provenienti da tutto il mondo per partecipare al World Gay Pride.

Brevemente, come è iniziato il tuo mestiere (o dovrei dire missione?) di documentarista e la passione per Roma?
Ho sempre avuto una grande attrazione visiva per Roma. Anche se sono nato a Lecce e ho studiato architettura a Firenze, la conosco da quando ero piccolo. Mi divertivo a fotografarla. Poi al corso di fotografia tenuto da Rotunno alla Scuola Nazionale di Cinema come esercitazione giravamo dei ‘panorami’ su Roma. Con un’inquadratura di 20° dovevi sintetizzare un pensiero. Quel tipo di sguardo mi è rimasto. Nel 1999 quegli stessi luoghi erano stati tutti incappucciati per il Giubileo, rivestiti di impalcature. Roma è diventata come una città rielaborata da Cristo…

Come ti sei organizzato per le riprese del documentario sul Gay Pride?
Per l’inaugurazione ho dovuto usare due troupe: una seguiva la cerimonia di apertura con la Cucinotta e l’altra la manifestazione anti-omosessuale. Il giorno della parata ho usato 4 troupe, ognuna tallonava un personaggio. Io riprendevo Renata, il transessuale brasiliano vestito da sposa. E poi ho avuto la collaborazione di sei filmaker, soprattutto donne. Le riprese di Imma Battaglia invece erano state realizzate dal Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli.

Quanto tempo hai impiegato?
Roma a.d. 000 Dal 4 giugno del 2000, giorno della parata militare, al febbraio del 2001. Anche se avrei dovuto terminare le riprese il 6 gennaio, con la chiusura della Porta Santa.

Quanto ti è costato?
Circa 70 milioni. Telepiù l’ha acquistato per 45, ma spero che qualche compratore estero se ne accorga, perché sarà presentato il 30 giugno al “Sunnyside of the Docs” di Marsiglia e il 4 luglio al Genova Film Festival.

Nel finale del tuo film il conduttore di “Radio Città Futura” annuncia scherzando che il Vaticano ha promulgato finalmente il Giubileo degli Omosessuali…
E’ improbabile che ci possa essere un avvicinamento tra Vaticano e omosessualità. La cultura cattolica ha un rapporto irrisolto con la sessualità, e vive sui sensi di colpa. Credo però che lontano da Roma le Chiese siano diverse. Nessun vescovo africano si sognerebbe mai di proibire i preservativi per combattere l’Aids. Ma spesso la Chiesa Cattolica fa un passo avanti e due indietro.

Ho notato un cambiamento di approccio e di linguaggio tra i tuoi primi film (Il magnifico sette, per esempio) e questi ultimi…
Un denominatore comune dei miei documentari è l’indagine su dove sia la libertà delle persone. Questo non è cambiato. All’epoca dovevo fare di necessità virtù ed ero solo io con la mia telecamerina. Poi quando ho avuto la possibilità di avere delle troupe, piccole o grandi, ho potuto rendere più complesso il linguaggio e raccontare molte storie contemporaneamente, che si intrecciano sullo sfondo della grande Storia. In questo caso del Giubileo: la “beautyfication” di Roma.

autore
27 Giugno 2001

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