PAOLO MARIA SPINA


Revolver Team è appena nata ma è già grande. La factory di distribuzione cinematografica, editoriale e discografica, nata contemporaneamente a Bologna e Roma quasi due anni fa è una realtà in espansione. “Avviamo la nostra attività di produzione cinematografica con 9 progetti, 2 dei quali italiani”, racconta Paolo Maria Spina, amministratore unico e socio di maggioranza. Tra febbraio e marzo 2004 partono i primi tre set: tra Bologna e Arezzo Il secondo peccato di Alberto Rondalli, a Parigi Le livre à rendre di Raoul Ruiz con Bernard Giraudeau, in Albania meridionale Chant d’amour di Yllet Alicka.
Tra le attività di Revolver Team anche il casting gestito da Sheila Rubin, la rivista trimestrale diretta da Giovanni Spagnoletti “Close up”, il service per le produzioni straniere in Italia curato da Verena Baldeo. La sede romana, un ex stalla per vacche nel cuore di Trastevere diventata oggi punto di sosta per fotografi di interni e design, promette di diventare luogo d’insediamento e incontro informale tra creativi.

Già 9 film in preparazione. Quali i criteri di scelta e i metodi di finanziamento?
Coproduciamo con l’estero in misura minore, per il 10%. Si tratta principalmente di pellicole europee tra cui Caterina di Agneszka Holland e Chant d’amour di Ylljet Alicka. Il secondo peccato di Alberto Rondalli è invece un art. 8. Copriamo i costi con investimenti di finanziatori privati, fondi d’investimento. Seleziono sceneggiature, che devono interessare anche un pubblico internazionale. Oggi il cinema è di maniera e bisogna scegliere storie forti e il regista adatto per realizzarle.

Avete anche una sezione documentari…
Il documentario non dà alcun risultato economico, ma è un mezzo per cogliere gli spunti che la realtà offre per costruire una storia. I giovani e aspiranti registi dovrebbero frequentare di più questo genere, invece di girare cortometraggi.

Revolver è un vera factory con 5 soci impegnata in diversi settori.
Era fisiologico che non ci occupassimo solo di produzione e distribuzione cinematografica. Io e gli altri componenti della società, tra cui Matteo Patruno che si occupa anche dell’organizzazione dell’ufficio e Alessandro La Rocca commercialista della società, abbiamo un passato da operatori culturali, tra l’altro attività come quella editoriale e discografica sono poco impegnative rispetto alla produzione cinematografica. Si guadagna poco, anzi quasi niente, ma l’obiettivo principale è l’esercizio di un ruolo culturale.

Il polo bolognese, costituito da voi, Downtown Pictures di Marco Müller e Itc di Beppe Caschetto, oltre alla presenza di Fandango dovuta all’accordo con la Cineteca, sembra arricchirsi?
Abbiamo sempre bisogno di Roma, gli stabilimenti sono nella capitale. Bologna ha perso la sfida della concorrenza con la capitale negli anni ’80. All’epoca tutti i videoclip musicali erano pensati e realizzati nel capoluogo emiliano con molti tecnici capaci e creativi impegnati nel settore ma non è stato sufficiente. E’ mancata la volontà politica per la creazione di un sistema cinema alternativo. Oggi è attivo sul territorio il consorzio Digicittà.

Il tuo passato professionale?
Gestivo ad Ancona l’attività del Cineclub dell’Accademia cinematografica. In una città di 90mila anime riuscivamo ad avere 1500 soci all’epoca. 5 anni fa, vengo chiamato nella capitale dal gruppo Pasquino e mi occupo di Nerolio di Aurelio Grimaldi. Poi l’esperienza con il gruppo Minerva, l’organizzazione della distribuzione per Sharada e il lavoro a Fandango.

autore
29 Ottobre 2003

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